Articolo del prof LUCA RICOLFI
Dopo
la Camera, ieri anche il Senato ha approvato la manovra. Così si
conclude, con un sostanziale successo, il primo round del governo Monti,
nato per farci digerire una stagione di sacrifici e restituire
all’Italia un minimo di credibilità sui mercati internazionali. Il
secondo round, tuttavia, si annuncia alquanto diverso. Passata (ingiustificatamente) la paura per le turbolenze dei mercati finanziari, i tre partiti che appoggiano il governo (Pdl, Pd, Udc) sembrano predisporsi a una stagione di mosse e contromosse guidate da calcoli elettorali, visto che si andrà al voto relativamente presto, e comunque entro la primavera del 2013.
Personalmente
penso che tali calcoli siano abbastanza inutili, se non altro perché i
fattori cruciali del voto non sono sotto il controllo del cosiddetto
trio ABC (Alfano, Bersani, Casini). L’esito delle elezioni del 2013
dipenderà molto più da chi entrerà in campo che da chi già vi gioca: le
mosse di Grillo, di Montezemolo, di Vendola, ma anche dei leader dei
piccoli partiti del Sud, potrebbero scompaginare i piani politici più
raffinati. Come iceberg che si staccano dalla calotta polare, milioni di
elettori potrebbero tradire i principali partiti attualmente presenti
in Parlamento, vanificando mesi e mesi di calcoli più o meno raffinati.
Ma
c’è un secondo elemento che complica i calcoli che ora si stanno
cominciando a fare: nessuno sa come il governo Monti sarà percepito
quando andremo a votare. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare,
questo aspetto non è affatto neutrale ai fini del voto. I partiti e le
coalizioni che chiederanno di governare l’Italia, infatti, non si
posizioneranno e scontreranno solo sui programmi, ma anche sul giudizio
nei confronti del governo Monti. Un giudizio che riguarderà non solo la
qualità della sua azione, ma anche il suo segno politico. Quando andremo
a votare conterà che cosa Monti avrà fatto, conterà come lo giudicherà
la maggior parte dell’opinione pubblica, ma conterà anche come verrà
etichettato, se verrà percepito come un governo che ha fatto una
politica di destra o una politica di sinistra.
Sotto questo profilo, a me pare che lo scenario più probabile è che il governo Monti venga, alla fine, etichettato come un governo di sinistra, e che sia il centro-destra a staccargli la spina.
In questo caso il governo Monti si troverebbe, di fatto e senza
volerlo, ad aver svolto un preziosissimo ruolo di riabilitazione nei
confronti di Berlusconi e del centrodestra. Se si fosse andati al voto
con Berlusconi al potere, nessuno avrebbe potuto evitargli
l’imbarazzante compito di spiegare agli italiani il disastro maturato in
una lunga stagione di centro-destra, durata ben 10 anni su 12 (dal 2001
al 2013, salvo i 22 mesi di Prodi). Poiché invece si andrà al voto con
Monti al governo, nulla esclude che gli italiani, notoriamente
volubili e di memoria corta, vengano invitati a rivotare a destra per
chiudere con l’ennesimo governo delle tasse, ieri impersonato da
Visco e Padoa Schioppa, oggi resuscitato sotto mentite spoglie, nella
forma di un governo tecnico ma pur sempre culturalmente vicino alla
sinistra. E nessuno può escludere che, proprio grazie al «cuscinetto
temporale» del governo Monti, venga infranta - o meglio riscritta - la
legge bronzea della seconda Repubblica, per cui chi ha governato perde
le elezioni. Specie se Monti dovesse durare fino alla primavera del
2013, e il favore di cui attualmente gode presso l’opinione pubblica
dovesse dissolversi, il centrodestra potrebbe giocare la carta di
combattere la sinistra chiedendo una svolta, una «discontinuità»
politica, nonostante la sinistra non sia al governo.
Ma è giustificata l’idea che quello di Monti sia un governo che guarda più a sinistra che a destra ?
Per
certi versi sì. La disponibilità di Monti a guidare un nuovo governo è
stata un ingrediente fondamentale del disarcionamento di Berlusconi.
Diversi ministri del nuovo esecutivo sono vicini al centro-sinistra. La
visione politica del governo è tutt’altro che euroscettica. E infine,
argomento decisivo, il governo Monti ha fatto una manovra che -
nonostante il taglio delle pensioni - è nettamente sbilanciata dal lato
delle entrate, come vari esponenti di centro-destra non hanno mancato di
rilevare criticamente.
C’è un «ma» fondamentale, tuttavia. La
manovra di Monti è indubbiamente fatta soprattutto di nuove tasse,
grazie alle quali la pressione fiscale toccherà il suo massimo storico. Ma detto questo bisogna aggiungere che, storicamente, la tendenza
ad affrontare i nostri problemi di bilancio con stangate fiscali
anziché attraverso riduzioni di spesa non è un tratto tipico dei governi
di sinistra, bensì di tutti i governi che si sono succeduti negli
ultimi venticinque anni, nella prima come nella seconda Repubblica,
quale che fosse il loro colore politico. In Italia, a differenza che
negli altri Paesi europei, non esiste alcuna forza politica, né di sinistra né di destra, la cui priorità sia effettivamente la riduzione delle tasse.
Da questo punto di vista il governo Monti, lungi dal rappresentare una
rottura, non fa che portare a perfezione il minimo comune denominatore
dei governi che hanno guidato l’Italia dopo il 1985: la preferenza per
il ricorso alla leva fiscale, e la timidezza di fronte alla rivolta
degli interessi colpiti dalle liberalizzazioni, siano esse quelle che
non piacciono alla destra (commercio e professioni), siano esse quelle
che non piacciono alla sinistra (mercato del lavoro), siano esse quelle
che non piacciono al ceto politico in quanto tale (servizi pubblici
locali).
Più che etichettarlo come governo di destra o di sinistra, forse sarebbe il caso di prendere in considerazione un
altro racconto possibile. Se continua sulla strada che sembra avere
intrapreso, il governo Monti potrebbe essere ricordato, semplicemente,
come il più serio e credibile fra i governi che - nell’ultimo quarto di
secolo - hanno condiviso la medesima, italianissima, filosofia di fondo:
i problemi dei conti pubblici si affrontano spremendo i contribuenti e
lasciando perdere corporazioni e lobby. Che sono brutte ma purtroppo invincibili.