giovedì 3 maggio 2012

Pisicchio: «A che serve la politica»

Intervento dell’on. Pino Pisicchio
In questi giorni di drammatica difficoltà per le famiglie, morse  da un'austerità corrosiva e vissuta come ingiusta, senza la benché minima idea di come possa andare a finire, e con le terrificanti cartoline dal deserto di povertà  che provengono da paesi a noi vicini, come la Grecia, la Spagna e il Portogallo, torna a colorarsi di senso la domanda: a che serve la politica, se non riesce a dare orizzonti? Perché, al netto di tutta la riprovazione che i sondaggisti registrano nei confronti dei partiti e dei loro attori, rimane comunque l'ineluttabilità dell'agire politico e dell'esercizio delle scelte collettive, che non possono essere eluse:non se ne può fare a meno.  Possono essere temporaneamente consegnate a governi tecnici,certo, per l'assolvimento di una missione, di una emergenza, ed è quello che sta avvenendo in questo momento in Italia. Ma poi devono tornare nella sede naturale che è e non può che essere la politica.
Torna allora la domanda: a che serve la politica?  In una società dove "hobbesianamente" la finanza è il Lupo che si mangia tutti gli uomini, il compito della politica è riequilibrare, riconsegnare ad ogni cittadino(anzi, ad ogni essere umano,secondo la nostra Costituzione,a prescindere dalla cittadinanza) il proprio diritto di vivere con dignità e di disporre di uguali chance. Il compito della politica, dunque, è redistribuire le risorse che, se fossero lasciate senza temperamenti al gioco della finanza, finirebbero (come in realtà finiscono) per accumularsi tutte da una parte sola, depauperando la stragrande maggioranza dei cittadini. Perché non c'è nessuna  interna forza"etica" a molcire il libero dispiegarsi degli interessi della finanza e ciò che mette fine alla sua voracità è solo l'estinzione delle risorse accumulabili.
Quello che sta accadendo in Italia e in Europa è qualcosa che somiglia ad un sistematico "smontaggio" dello Stato sociale, costruito sulla base dell'idea keynesiana e, in Italia, sulla base del patto costituzionale che ebbe a riferimento il solidarismo e la centralità della persona umana. Beninteso: il governo tecnico fa il mestiere per cui è stato ingaggiato: far quadrare i conti per evitare il precipizio di  cui stiamo prendendo coscienza attraverso le cartoline mediterranee (Grecia, Spagna,Portogallo).
Ma è la politica,quella  che consente la vita di questo governo, che ancora non c'è. È possibile che non riesca a dare un orizzonte, che non  riesca a dire: "la stagione dei sacrifici finisce a dicembre, poi comincerà quella della ripresa e del ritorno del lavoro"? La cosa curiosa è che istituzioni altre, come la Corte dei Conti o addirittura la BCE, e non i partiti, stiano mettendo in guardia l'Italia dicendo "attenzione, troppe tasse stanno strangolando l'economia e le famiglie, adesso basta, occorre la ripresa"!
Dalla politica solo grugniti di antipolitica, quella di un comico che si butta in politica (dopo una lunga stagione di politico che faceva il comico), di qualche cinico intercettatore dell'immenso stordimento diffuso tra la gente, soffiando sul fuoco dell'antagonismo, e poi sussiegosi  (ma con le facce contrite) assensi al programma di una quaresima senza fine. Mi domando: ma ci voleva la Bce per capire che le Province devono essere abolite? Vogliamo fare,allora, una cosa di senso? Con le risorse che ricaviamo dall'abolizione (ora, subito) di queste inutili superfetazioni dell'era napoleonica e con quelli che dobbiamo recuperare (ora, subito) dal dimezzamento dei rimborsi elettorali ai partiti, e dalla lotta all'evasione fiscale (a proposito,Governo, quando ci porti una vera riforma del Fisco?), finanziamo un piano per l'occupazione giovanile, sulla falsariga di quel che fece la Anselmi nel 1977, incentivando imprese e cooperative giovanili nei settori della cultura, dell'artigianato, dell'agricoltura, dell'assistenza. Sarebbe un segno di speranza, una prospettiva, un orizzonte politico. E non solo l' infinito adempimento ragioneristico degli obblighi  di finanza.

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