martedì 19 marzo 2013


Euro, arriva la conferma dell’UE: ci hanno sempre truffato

13 martedì mar 2012

Pubblicato da aurita1 in Banche, Daneistocrazia, Governo, Monti, Politica, Signoraggio, Usura

≈ 403 commenti

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articolo 117, auriti, banca centrale europea, bce, bcn, borghezio, draghi, euro, Europea, eurosistema, interrogazione, maastricht, mario borghezio, monti, Scurria, Signoraggio, stati membri, trattato, truffa, Unione, usura

di Francesco Filini

Finalmente arriva la risposta all’interrogazione presentata dall’Europarlamentare Marco Scurria sulla natura giuridica dell’€uro, e finalmente arriva la conferma: ci stanno truffando. Ci hanno sempre truffati. Ma andiamo per ordine.

Marco Scurria aveva chiesto chiarimenti sulla risposta data dalla commissione europea alla prima interrogazione sulla proprietà giuridica dell’euro presentata dall’On. Mario Borghezio, nella quale si affermava che nella fase dell’emissione le banconote appartengono all’Eurosistema, mentre nella fase della circolazione appartengono al titolare del conto sulle quali vengono addebitate. Attenzione perchè le parole negli atti ufficiali e nel linguaggio tecno-eurocratico vanno soppesate per bene. Quindi il commissario Olli Rehn rispondeva a Borghezio che la proprietà delle banconote cartacee (dove troviamo ben impressa in ogni lingua dell’Unione la sigla della Banca Centrale Europea) è dell’EUROSISTEMA. Ma cos’è quest’Eurosistema?
“L’Eurosistema è composto dalla BCE e dalle BCN dei paesi che hanno introdotto la moneta unica. L’Eurosistema e il SEBC coesisteranno fintanto che vi saranno Stati membri dell’UE non appartenenti all’area dell’euro.” Questa è la definizione che si legge sul sito ufficiale della BCE. Quindi le Banche centrali nazionali stampano le banconote e si appropriano del loro valore nominale (ad Es. se stampare un biglietto da 100 ha un costo fisico per chi lo conia di 0,20 centesimi – valore intrinseco – le BCN si appropriano anche del valore riportato sul biglietto stampato). E l’On Scurria chiedeva quali fossero le basi giuridiche su cui poggiava l’affermazione del Commissario Olli Rehn:

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-000302/2012
alla Commissione
Articolo 117 del regolamento
Marco Scurria (PPE)

Oggetto: Natura giuridica della proprietà dell’euro

In risposta ad un’interrogazione scritta sul medesimo tema presentata dall’on. Borghezio fornita il 16 giugno 2011, la Commissione informa il collega che “al momento dell’emissione, le banconote in euro appartengono all’Eurosistema e che, una volta emesse, sia le banconote che le monete in euro appartengono al titolare del conto su cui sono addebitate in conseguenza”.
Può la Commissione chiarire quale sia la base giuridica su cui si basa questa affermazione?

Nei tempi stabiliti dal Parlamento Europeo arriva la risposta:

IT
E-000302/2012
Risposta di Olli Rehn
a nome della Commissione
(12.3.2012)

L’articolo 128 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea costituisce la base giuridica per la disciplina dell’emissione di banconote e monete in euro da parte dell’Eurosistema (costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali). La proprietà delle banconote e delle monete in euro dopo l’emissione da parte dell’Eurosistema è disciplinata dalla legislazione nazionale vigente al momento del trasferimento delle banconote e monete al nuovo proprietario, ossia al momento dell’addebito del conto corrente bancario o dello scambio delle banconote o monete.

Olli Rehn non fa altro che ribadire che dopo l’emissione, ossia dopo la creazione fisica delle banconote o più verosimilmente dell’apparizione in video delle cifre sui terminali dell’Eurosistema (totalmente a costo zero, se si esclude l’energia elettrica che mantiene accesi i computers…) la proprietà dei valori nominali appartiene al nuovo proprietario, ovvero a chi ha accettato l’addebito, a chi ha accettato di indebitarsi. Non solo. Olli Rehn, per giustificare l’affermazione secondo la quale rispondeva a Borghezio che l’Euro appartiene nella fase dell’emissione all’Eurosistema, cita l’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, dove nel comma 1 si legge:

La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.

E’ chiarissimo. Non c’è scritto da nessuna parte che la proprietà giuridica dell’euro emesso appartiene alla BCE o alle BCN. C’è soltanto scritto che la BCE può autorizzare l’emissione di euro a se stessa e alle BCN, dovendo controllare l’inflazione nella zona euro, così come stabilito dal Trattato di Maastricht. Ribadisce che solo l’Eurosistema può stampare le banconote o creare elettronicamente i valori nominali. Ma nessun riferimento giuridico, nessun trattato, nessuna legge, nessuna deliberazione, niente di niente ci dice che l’Eurosistema ha la facoltà di addebitare la moneta. E’ evidente che si appropria di questo grande ed esclusivo privilegio.
Ciò che diceva il prof. Giacinto Auriti trova finalmente conferma in un atto ufficiale della Commissione Europea: le Banche Centrali si appropriano del valore della moneta perchè emettono solo addebitando, prestando, e il prestare è una qualità esclusiva del proprietario. Auriti chiamava questo meccanismo la truffa del signoraggio, parola sulla quale oggi si fa volutamente grande confusione, essendo per la massa direttamente associabile alla farfallina di Sara Tommasi e a qualche improbabile personaggio del mondo della politica che fa avanspettacolo che le si accompagna.

Non a caso l’indomito professore dell’Università di Teramo aveva denunciato la Banca d’Italia (organismo privato in mano per il 94% a banche commerciali e fondazioni bancarie) per truffa, associazione a delinquere, usura, falso in bilancio e istigazione al suicidio (grave piaga dei tempi nostri). Infatti la moneta, essendo il mezzo di scambio con il quale i cittadini riescono ad interagire tra loro dando vita al mercato, ovvero riuscendo a scambiarsi reciprocamente beni e servizi prodotti grazie al loro lavoro, deve appartenere esclusivamente a chi lavora, ovvero al popolo. Chi si appropria indebitamente del valore della moneta non fa altro che sfruttare il lavoro del popolo, lucrare sulle fatiche e sulla produzione altrui chiedendo che gli vengano pagati gli interessi sul prestito erogato. Questa è la gigantesca distorsione del nostro tempo, questa è la Grande Usura. E sotto il giogo di questa malefica piaga, sono finiti tutti i popoli d’europa che oggi pagano sulla propria pelle una crisi sistemica e indotta, figlia di un paradigma che dal 1694 (anno di costituzione della prima Banca Centrale, la Bank of England) si è imposto sulla vita dell’uomo.

Il meccanismo dell’indebitamento degli Stati da parte di organismi privati quali sono le Banche Centrali Nazionali è presente quasi ovunque. La Federal Reserve conia negli USA il dollaro, la Bank of England conia nel Regno Unito la Sterlina, la BCE conia l’Euro. Ma per quanto ci riguarda, esiste un’abissale differenza, che rende il sistema ancora più perverso: gli Stati dell’Unione non possono ricevere il credito direttamente dalla BCE (cosa che invece accade in modo diretto e subordinato negli altri paesi, ed Es. negli USA dove il Congresso ordina di stampare e la FED esegue) ma devono finanziarsi sul mercato, la parolina magica con cui ci prendono per i fondelli. In poche parole funziona così: la BCE crea denaro a suo piacimento, lo da in prestito alle banche commerciali (Draghi ha recentemente creato circa 1000 miliardi di euro prestandoli all’1%) e queste possono decidere se acquistare o meno i cosiddetti BOND, i titoli del debito (con tassi che vanno dal 5 al 7%). Non è possibile, quindi, per i paesi della UE attuare una propria politica monetaria, pur volendo accettare il meccanismo dell’indebitamento pubblico.

Tutto è nelle mani della Grande Usura. I signori della Goldman Sachs, banca d’affari targata USA, siedono vertici delle grandi istituzioni bancarie, Mario Draghi ne è l’emblema. Ora hanno deciso di gestire direttamente anche le Istituzioni politiche, Mario Monti e Papademos sono i primi alfieri al servizio della Goldman.
La politica è messa sempre più all’angolo, ostaggio del sistema finanziario che controlla partiti, sindacati e mondo dell’informazione.

L’unica soluzione che abbiamo è quella di informare il più possibile. Questi meccanismi perversi devono essere conosciuti da tutti, nonostante il boicottaggio del sistema dell’informazione del regime usurocratico. Lo sforzo deve essere titanico, la volontà e la determinazione non devono piegarsi di fronte a niente.

A tutti noi un in bocca al lupo.

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domenica 17 marzo 2013

“Go green”: le opportunità dell’economia verde italiana secondo Francesco Rutelli
marzo 15, 2013 Nazionali, Politiche

Nel piccolo ufficio vicinissimo a Montecitorio e ancora semi-vuoto, dove Alleanza per l’Italia si è appena trasferita, Francesco Rutelli – il leader del partito centrista e liberale fondato insieme a Tabacci e a Giuliano Da Empoli nel 2009 – conclude una riunione politica prima dell’intervista con Greenews.info.“Dobbiamo proprio usare questa parola: alternativi. Noi siamo alternativi alla sinistra”, dice con tono fermo una voce femminile che arriva fino all’ingresso. Un segno dei tempi, politici e istituzionali, di grande incertezza: le elezioni politiche sono ormai un ricordo ma il clima è ancora quello del “serrate le righe”. Anche per API che all’ultimo appuntamento elettorale ha scelto di non candidarsi: “Non ero d’accordo, più in generale, con lo schema elettorale – né con quello montiano, né con quello del centrosinistra di Bersani: io avrei preferito un accordo trasparente, dichiarato prima delle elezioni”. Da qui la decisione di Bruno Tabacci di presentare il nuovo soggetto politico Centro Democratico, come forza moderata nella coalizione “Italia. Bene Comune”, non superando però la soglia di sbarramento prevista al Senato.

Francesco Rutelli è sorridente e slanciato, appare solo lievemente curvo mentre ci guida nella propria stanza: “E’ ancora tutto un po’ spoglio ma guardi quanto verde se si affaccia dalla finestra”, dice allegro. Sulla libreria, campeggiano – nell’ordine – numerose foto di lui che stringe la mano all’ex presidente USA Bill Clinton, alla regina d’Inghilterra Elisabetta, a Carlo Azeglio Ciampi e al presidente Napolitano, a Madre Teresa di Calcutta e a Giovanni Paolo II.

D) Rutelli, lei è stato nei Radicali, ha fondato i Verdi Arcobaleno, ha fatto il sindaco di Roma per due mandati (sua la legge n.113 del 1992 che ha permesso di piantare ben 120.000 alberi a Roma, uno per ogni bambino nato, oggi estesa anche per i bimbi adottati) e il Ministro ai Beni Culturali del secondo governo Prodi, è stato leader della Margherita fino al suo scioglimento nel Pd, poi è uscito dal Pd e ora guida l’Api. È stato persino Ministro dell’Ambiente per quattro giorni (governo Ciampi: si dimise per protestare contro il Parlamento che negò l’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi). Oggi, di cosa si occupa?

R) Non da oggi, ma dal 1989, dunque da tempi non sospetti, mi occupo di sostenibilità, quando ancora non ne parlava nessuno. Per questo insieme ad Alleanza per l’Italia ho lanciato una proposta positiva in tema di green economy, partendo dalla convinzione che si tratti di un settore strategico per innescare la crescita e dare nuove chance di sviluppo al Paese. Ne è venuto fuori uno studio – “Green economy: per una nuova e migliore occupazione”, pubblicato e presentato alla fine della campagna elettorale per le elezioni politiche 2013 – promosso dal Partito Democratico Europeo (di cui è fondatore e presidente insieme al francese Francois Bayrou, NdR). Una ricerca che nasce dalla competenza di due economisti come, Alessandro Lanza – ex direttore della Fondazione Mattei – e Marzio Galeotti - che insegna a Milano Economia Ambientale – e dall’intuizione di Firouz Galdo, architetto e scenografo scomparso di recente (autore di progetti come la libreria di Palazzo delle Esposizioni, la Fondazione Giuliani, la Collezione CerasiBarillari, la galleria Gagosian).

D) Perché ritiene che questa ricerca si distingua, rispetto ai tanti studi di settore?

R) Si tratta di uno studio molto concreto, curato da due giovani ricercatori della Bocconi, Federico Pontoni e Niccolò Cusumano, che adotta per la prima volta una metodologia mai utilizzata in Italia: utilizzando i dati Istat – quelle che tecnicamente si chiamano matrici intersettoriali – e applica ai settori analizzati le opportunità di crescita che derivano dagli investimenti diretti, indiretti e nell’indotto. L’obiettivo concreto è quello di valutare gli impatti della green economy in termini di occupazione da oggi fino al 2020.

D) Quali sono stati i settori analizzati?

R) Il perimetro dell’analisi è stato definito includendo i settori “green” che hanno le più immediate ricadute occupazionali e industriali: energie rinnovabili, efficienza energetica, ciclo dell’acqua e rifiuti, servizi ambientali, tra cui protezione e cura della biodiversità, trasporti sostenibili. A questi sono stati affiancati settori, per così dire di nicchia, analizzati attraverso casi di studio: smart city, formazione sostenibile, ecoturismo. Per ciascun settore, abbiamo elaborato due scenari: uno “base” (che prevede il raggiungimento degli obiettivi europei), e l’altro così detto “go green”, volto a far divenire l’Italia leader mondiale della green economy.

D) Mi dà un po’ di numeri?

R) Nello scenario base, lo studio prevede che si investano circa 227 miliardi di euro da oggi fino al 2020 (circa 28,3 l’anno): secondo i calcoli effettuati, l’impatto sull’occupazione (sempre al 2020) sarà di circa 1,4 milioni di occupati (rispetto al 2012, si avrebbe un incremento di oltre 173.000 unità), con un contributo al Pil pari al 5,7%. Per lo scenario “Go green”, gli investimenti complessivi previsti in economia verde sarebbero di circa 272 miliardi di euro con un aumento dei posti di lavoro di quasi 600.000 unità rispetto al 2012..

D) Qual è il messaggio principale che, secondo lei, emerge da questo studio?

R) La capacità dell’economia sostenibile di generare ricchezza: ogni milione di euro generato dalla green economy italiana produce un effetto indiretto e indotto di quasi 2,7 milioni sulla nostra economia: sono pochi i settori che vantano moltiplicatori tanto elevati…

D) Ha inviato questa ricerca ai leader dei partiti italiani?

R) Sì, a tutti. Non ottenendo alcun risultato! E nonostante la campagna elettorale sia stata giocata anche su parole chiave e concetti collegati all’ambiente. Peccato. Basterebbe guardare ad altri paesi europei che hanno puntato tutto su investimenti verdi.

D) Un esempio?

R) La Germania, l’unico Paese nel panorama europeo ad aver puntato sull’innovazione ambientale. Grazie all’apporto dei Verdi tedeschi, la Siemens è stata trasformata in una multinazionale verde ed è partita dal decommissioning dei suoi programmi nucleari per diventare capofila di un’offerta industriale di sostenibilità urbana. Pensiamo ai paesi emergenti e ai problemi sorti dal repentino sviluppo economico e dallo spostamento della popolazione dalle campagne alle città.

D) Forse, oggi, avreste maggiori chance di essere ascoltati: in questo Parlamento il M5S ha fatto della battaglia per la sostenibilità una delle chiavi di volta del proprio impegno politico…

R) È vero. Un dialogo con loro sarà inevitabile oltre che augurabile. Tra l’altro, questo studio è stato mandato anche a Beppe Grillo. E al netto del suo schema – di stampo trotskista, dunque di rivoluzione permanente – credo che ci sia nel Movimento Cinque Stelle molta gente preparata su questi temi.

D) Prossime tappe?

R) Pensiamo di fare, all’inizio di aprile una riunione tecnica con gli operatori economici, sociali, del mondo produttivo che, invece, hanno risposto positivamente al nostro invito. E poi vorrei organizzare una riunione più politica per questa nuova legislatura, in assoluta trasparenza. Noi mettiamo a disposizione di tutti uno strumento, che è di conoscenza ma anche operativo.

D) Quali pensa siano, ad esempio rispetto all’azione dei Verdi tedeschi, i limiti politici dei Verdi italiani?

R) Sono totalmente speculari ai cugini teutonici: mancano di una visione Paese, sono molto schierati, mentre il tema ambientale è per eccellenza un tema trasversale. Spesso, arroccati su posizioni un po’ auto-ghettizzanti.

D) Quali sono secondo lei gli interventi più urgenti che il nuovo governo non dovrà rimandare, in ambito di politiche ambientali e green economy?

R) I due comparti cruciali sono trasporti ed edilizia. Rispetto al primo, investendo nelle auto elettriche, nel rinnovo dei veicoli del trasporto pubblico, nuovi meccanismi di regolazione del traffico urbano. L’edilizia, il settore considerato come primo nemico dell’ambiente, può diventare amico se partisse da subito una battaglia politica che metta al primo posto investimenti verdi in questo settore: progettare edifici a emissioni zero, sia nell’edilizia privata che in quella pubblica, allora – al 2020 – avremo uno scenario occupazionale diverso. Poi dovremmo anche recuperare la componente delle bonifiche: per le aree industriali inquinate, occasione di lavoro durante la fase di bonifica, e poi di ricostruzione e rilancio su cui orientare risorse anche europee.

D) Ultima domanda: a sorpresa il nuovo Papa ha scelto di chiamarsi Francesco, come il Santo protettore degli ecologisti…

R) Meravigliosa la scelta del nome, quello del più umile dei Santi. La Chiesa certo non incoraggiò, allora, la sua rivoluzione evangelica. Oggi, i cristiani pregano per lui. E i non credenti hanno una speranza in più.

Ilaria Donatio

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“Go green”: le opportunità dell’economia verde italiana secondo Francesco Rutelli

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Venerdì 15 Marzo 2013 19:00

D) Rutelli, lei è stato nei Radicali, ha fondato i Verdi Arcobaleno, ha fatto il sindaco di Roma per due mandati (sua la legge n.113 del 1992 che ha permesso di piantare ben 120.000 alberi a Roma, uno per ogni bambino nato, oggi estesa anche per i bimbi adottati) e il Ministro ai Beni Culturali del secondo governo Prodi, è stato leader della Margherita fino al suo scioglimento nel Pd, poi è uscito dal Pd e ora guida l’Api. È stato persino Ministro dell’Ambiente per quattro giorni (governo Ciampi: si dimise per protestare contro il Parlamento che negò l’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi). Oggi, di cosa si occupa?

R) Non da oggi, ma dal 1989, dunque da tempi non sospetti, mi occupo di sostenibilità, quando ancora non ne parlava nessuno. Per questo insieme ad Alleanza per l’Italia ho lanciato una proposta positiva in tema di green economy, partendo dalla convinzione che si tratti di un settore strategico per innescare la crescita e dare nuove chance di sviluppo al Paese. Ne è venuto fuori uno studio – “Green economy: per una nuova e migliore occupazione”, pubblicato e presentato alla fine della campagna elettorale per le elezioni politiche 2013 – promosso dal Partito Democratico Europeo (di cui è fondatore e presidente insieme al francese Francois Bayrou, NdR). Una ricerca che nasce dalla competenza di due economisti come, Alessandro Lanza – ex direttore della Fondazione Mattei – e Marzio Galeotti - che insegna a Milano Economia Ambientale – e dall’intuizione di Firouz Galdo, architetto e scenografo scomparso di recente (autore di progetti come la libreria di Palazzo delle Esposizioni, la Fondazione Giuliani, la Collezione CerasiBarillari, la galleria Gagosian).



D) Perché ritiene che questa ricerca si distingua, rispetto ai tanti studi di settore?

R) Si tratta di uno studio molto concreto, curato da due giovani ricercatori della Bocconi, Federico Pontoni e Niccolò Cusumano, che adotta per la prima volta una metodologia mai utilizzata in Italia: utilizzando i dati Istat – quelle che tecnicamente si chiamano matrici intersettoriali – e applica ai settori analizzati le opportunità di crescita che derivano dagli investimenti diretti, indiretti e nell’indotto. L’obiettivo concreto è quello di valutare gli impatti della green economy in termini di occupazione da oggi fino al 2020.

D) Quali sono stati i settori analizzati?

R) Il perimetro dell’analisi è stato definito includendo i settori “green” che hanno le più immediate ricadute occupazionali e industriali: energie rinnovabili, efficienza energetica, ciclo dell’acqua e rifiuti, servizi ambientali, tra cui protezione e cura della biodiversità, trasporti sostenibili. A questi sono stati affiancati settori, per così dire di nicchia, analizzati attraverso casi di studio: smart city, formazione sostenibile, ecoturismo. Per ciascun settore, abbiamo elaborato due scenari: uno “base” (che prevede il raggiungimento degli obiettivi europei), e l’altro così detto “go green”, volto a far divenire l’Italia leader mondiale della green economy.

D) Mi dà un po’ di numeri?

R) Nello scenario base, lo studio prevede che si investano circa 227 miliardi di euro da oggi fino al 2020 (circa 28,3 l’anno): secondo i calcoli effettuati, l’impatto sull’occupazione (sempre al 2020) sarà di circa 1,4 milioni di occupati (rispetto al 2012, si avrebbe un incremento di oltre 173.000 unità), con un contributo al Pil pari al 5,7%. Per lo scenario “Go green”, gli investimenti complessivi previsti in economia verde sarebbero di circa 272 miliardi di euro con un aumento dei posti di lavoro di quasi 600.000 unità rispetto al 2012..

D) Qual è il messaggio principale che, secondo lei, emerge da questo studio?

R) La capacità dell’economia sostenibile di generare ricchezza: ogni milione di euro generato dalla green economy italiana produce un effetto indiretto e indotto di quasi 2,7 milioni sulla nostra economia: sono pochi i settori che vantano moltiplicatori tanto elevati…

D) Ha inviato questa ricerca ai leader dei partiti italiani?

R) Sì, a tutti. Non ottenendo alcun risultato! E nonostante la campagna elettorale sia stata giocata anche su parole chiave e concetti collegati all’ambiente. Peccato. Basterebbe guardare ad altri paesi europei che hanno puntato tutto su investimenti verdi.

D) Un esempio?

R) La Germania, l’unico Paese nel panorama europeo ad aver puntato sull’innovazione ambientale. Grazie all’apporto dei Verdi tedeschi, la Siemens è stata trasformata in una multinazionale verde ed è partita dal decommissioning dei suoi programmi nucleari per diventare capofila di un’offerta industriale di sostenibilità urbana. Pensiamo ai paesi emergenti e ai problemi sorti dal repentino sviluppo economico e dallo spostamento della popolazione dalle campagne alle città.

D) Forse, oggi, avreste maggiori chance di essere ascoltati: in questo Parlamento il M5S ha fatto della battaglia per la sostenibilità una delle chiavi di volta del proprio impegno politico…

R) È vero. Un dialogo con loro sarà inevitabile oltre che augurabile. Tra l’altro, questo studio è stato mandato anche a Beppe Grillo. E al netto del suo schema – di stampo trotskista, dunque di rivoluzione permanente – credo che ci sia nel Movimento Cinque Stelle molta gente preparata su questi temi.

D) Prossime tappe?

R) Pensiamo di fare, all’inizio di aprile una riunione tecnica con gli operatori economici, sociali, del mondo produttivo che, invece, hanno risposto positivamente al nostro invito. E poi vorrei organizzare una riunione più politica per questa nuova legislatura, in assoluta trasparenza. Noi mettiamo a disposizione di tutti uno strumento, che è di conoscenza ma anche operativo. D) Quali pensa siano, ad esempio rispetto all’azione dei Verdi tedeschi, i limiti politici dei Verdi italiani? R) Sono totalmente speculari ai cugini teutonici: mancano di una visione Paese, sono molto schierati, mentre il tema ambientale è per eccellenza un tema trasversale. Spesso, arroccati su posizioni un po’ auto-ghettizzanti.

D) Quali sono secondo lei gli interventi più urgenti che il nuovo governo non dovrà rimandare, in ambito di politiche ambientali e green economy?

R) I due comparti cruciali sono trasporti ed edilizia. Rispetto al primo, investendo nelle auto elettriche, nel rinnovo dei veicoli del trasporto pubblico, nuovi meccanismi di regolazione del traffico urbano. L’edilizia, il settore considerato come primo nemico dell’ambiente, può diventare amico se partisse da subito una battaglia politica che metta al primo posto investimenti verdi in questo settore: progettare edifici a emissioni zero, sia nell’edilizia privata che in quella pubblica, allora – al 2020 – avremo uno scenario occupazionale diverso. Poi dovremmo anche recuperare la componente delle bonifiche: per le aree industriali inquinate, occasione di lavoro durante la fase di bonifica, e poi di ricostruzione e rilancio su cui orientare risorse anche europee.

D) Ultima domanda: a sorpresa il nuovo Papa ha scelto di chiamarsi Francesco, come il Santo protettore degli ecologisti…

R) Meravigliosa la scelta del nome, quello del più umile dei Santi. La Chiesa certo non incoraggiò, allora, la sua rivoluzione evangelica. Oggi, i cristiani pregano per lui. E i non credenti hanno una speranza in più. Ilaria Donatio

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