venerdì 2 settembre 2011

LA CRISI ECONOMICA (di Marco Corrini)  Torino 30 Agosto 2011

Cari amici, prendo spunto dalla nota di Francesco Giannatasio sulla crisi economica per esprimere un mio libero pensiero.
Le considerazioni di Francesco sono assolutamente condivisibile ma appaiono, secondo me, parziali, scontate e anche un po’ retoriche. Le ragioni della crisi sono assai più profonde e i rimedi non sono così semplici da individuare.
Occorre anzitutto suddividere il tema in due scenari distinti: quello globale e quello nazionale.

Lo scenario Globale

Affermare infatti (come fa Francesco) che la crisi mondiale dei debiti sovrani è frutto di malversazioni e cattive amministrazioni, è fondamentalmente sbagliato perché tale crisi tocca oggi anche Paesi che da tempo sono esempio di moralità istituzionale.
In realtà la Crisi ha ragioni più tecniche e viene in gran parte originata proprio da quel meccanismo umorale ed irrazionale che è il sistema borsistico mondiale, un sistema che reagisce più alle sensazioni che non ai fatti concreti.
Giova ricordare che la Borsa nasce come lo strumento attraverso il quale le Aziende si finanziano. Dal punto di vista dell’azienda quindi, una volta emessa l’azione ad un valore nominale di 100 ed incassato 100 dal sottoscrittore, l’operazione è terminata. Se poi il mercato (e la speculazione) porta in breve tempo il valore di quell’azione a 1000 (forte guadagno) oppure a 10 (forte perdita) all’azienda non interessa più e soprattutto non ha ripercussioni sull’attività, al limite solo sull’immagine (certo se le azioni salgono molto l’azienda, in caso di emissione di nuove azioni, incasserà di più, mentre se le azioni si avvicinano allo 0 cercherà comunque di difenderne il valore). La Borsa è il teatro nel quale le azioni vengono scambiate secondo le Leggi di mercato, quindi con valutazioni che dipendono dal meccanismo della domanda e dell’offerta, un meccanismo che è influenzato esclusivamente da criteri umorali e dalla speculazione attuata dai grandi capitalisti indipendentemente dal valore reale dell’impresa trattata.
Se la Borsa scende quindi c’è maggior difficoltà per le imprese ad ottenere nuovi finanziamenti dal mercato tramite l’emissione di nuove azioni ma altri contraccolpi per il mondo imprenditoriale produttivo non ce ne sono; in realtà il crollo delle borse danneggia solo i piccoli investitori che si spaventano e sono portati a svendere i loro pacchetti azionari.
Ci sono poi, indubbiamente, cali azionari che riflettono un effettivo stato di crisi dell’azienda (vedi il terremoto che ha coinvolto le banche) e che hanno un riflesso diretto sull’economia globale ma sono situazioni nettamente distinte.
Se la valutazione dell’affidabilità e della solvibilità di un Paese sovrano e del proprio debito viene affidata ad un’entità così aleatoria come la Borsa, è normale che ogni più piccola turbolenza si trasformi in un pericolo per la stabilità economica dei Paese; se poi la turbolenza è (come in questo periodo) un uragano allora lo spettro del fallimento globale si concretizza con facilità anche se in realtà non ci sono condizioni concrete di fallimento (o almeno non per tutti).
Tempo addietro i titoli di debito pubblico dei Paesi erano collocati all’interno del Paese stesso: in sostanza erano i cittadini che finanziavano direttamente il proprio Paese. La crescita ha portato alla necessità di infrastrutture sempre più nuove e moderne con massicci investimenti da parte degli Stati e conseguente aumento vertiginoso del debito che per poter essere coperto ha dovuto assumere una dimensione globalizzata. Per questo motivo, oggi, gran parte dei titoli dei debiti sovrani dei paesi occidentali sono finanziati dalla Cina o nelle mani della speculazioni internazionale.
Tremonti, recentemente, ha proprio voluto richiamare l’attenzione sulla valutazione globale del debito dello Stato, una valutazione che tenga conto del debito sovrano ma anche delle riserve private delle famiglie.
Questo elemento è particolarmente importante per il nostro Paese, un Paese che vede il proprio Debito Sovrano fortemente svalutato dal sistema borsistico malgrado, tra tutte  le grandi economie occidentali, gli italiani sono i soli che, se lo volessero, per spirito patriottico, potrebbero facilmente farsi totale carico del proprio debito pubblico senza dover dipendere dal buon cuore della Cina, a riprova dell’inaffidabilità del sistema borsistico come indice valutativo dello stato di salute di un Paese.

Scenario nazionale

Detto della volatilità delle indicazioni borsistiche resta una situazione economica nazionale ai limiti del disastro, dominata da un caos istituzionale senza precedenti, all’insegna del tutti contro tutti o del “Muoia Sansone con tutti i Filistei” salvo che qui Sansone ha già le valige pronte e a morire saranno solo i Filistei.
Quando si fanno valutazioni macroeconomiche dobbiamo renderci conto che non hanno mai attuazione immediata ma anzi, spesso, si verificano nel lungo periodo. Allo stesso modo le soluzioni ai problemi macroeconomici trovano attuazione in tempi molto lunghi per cui, quando si vuole risolvere uno stato di crisi in una Nazione bisogna mettere in preventivo tempistiche molto lunghe caratterizzate da lacrime, sangue, convinzione e grande perseveranza.
Più di 10 anni fa affermavo in un mio articolo che il grande problema dell’Italia in prospettiva, più ancora degli sperperi della macchina pubblica, sarebbe stato il margine di profitto dell’imprenditoria. Già allora appariva chiaro che all’imprenditore (soffocato da una burocrazia asfissiante e da un livello di tassazione eccessivo) non conveniva fare impresa in Italia. Oggi il problema si propone in tutta la sua drammaticità.
Ricordo che l’indice che maggiormente identifica la salute di uno Stato è il rapporto tra il PIL e il Debito Pubblico. Oggi tale rapporto è per noi estremamente sfavorevole perché il debito è progressivamente aumentato mentre il PIL è (incredibilmente) stazionario. Il Pil è ‘indicatore della ricchezza prodotta in un Paese ed è evidente che ciò che maggiormente concorre a formarlo è il sistema imprenditoriale. Se non c’è convenienza a fare impresa (legale) in un Paese, il PIL di quel Paese non potrà mai crescere e se il PIL non cresce non ci saranno le risorse per abbattere il debito.
Il paradosso è che ciò che ancora ci tiene a galla è proprio l’illegalità diffusa, quell’illegalità che da una parte consente agli imprenditori, come componente sommersa del reddito, di raggiungere il profitto desiderato e quindi restare a fare impresa sul territorio (mantenendo inalterato il PIL) e dall’altra parte consente a chi evade il fisco di accumulare quelle stesse risorse economiche che oggi ci permettono di poter affermare che gli italiani sono in grado di coprire il proprio enorme debito pubblico.
Il Peccato Originale, quello che frena ogni tentativo riformatore teso al rilancio economico è quindi la mancanza di convenienza ad investire denaro in imprese (Legali) sul territorio italiano e fino a quando non avremo risolto questo problema non potremo rilanciare l’economia, aumentare l’occupazione e tornare a creare ricchezza risolvendo il dissesto dei conti pubblici nella maniera più salutare: tramite l’aumento del PIL.
Tutte le Manovre e Manovrine dell’ultimo decennio sono state all’insegna della riduzione della spesa, tale riduzione ha coinvolto solo i servizi penalizzando ulteriormente il funzionamento dello Stato e obbligando gli Enti Locali ad aumentare le imposizioni di loro spettanza per compensare la riduzione dei trasferimenti dallo Stato Centrale. Si è voluto il Federalismo ma si sono obbligati gli Enti Federali ad autofinanziarsi attingendo dalle tasche dei contribuenti in misura sempre maggiore. Sono tutti provvedimenti tesi al tamponamento dell’immediato; nessuno ha seriamente pensato al futuro, come dire” Il futuro sarà di un altro Governo e quindi non ci riguarda”. Come si è, anche solo ventilata l’idea di un contributo di solidarietà da parte delle classi più abbienti c’è stata una sollevazione popolare e la norma è stata subito cancellata; come dire: “Paga sempre Pantalone, in un modo o nell’altro”.
Con una classe politica che ragiona così non c’è assolutamente modo di uscire da questo pantano e quindi ogni ulteriore riflessione è inutile e rischia di fare la fine dei suggerimenti del povero Machiavelli, chiusi del cassetto del ‘De Medici di turno per 4 o 500 anni.
Malgrado sia assolutamente certo che questo mio pensiero si disperderà inascoltato voglio comunque esprimerlo.

Le soluzioni

Anche se nell’immediato appare scontato che debbano venire adottato provvedimenti di contenimento della spesa, la logica vorrebbe che tali provvedimenti toccassero le componenti improduttive dell’amministrazione dello Stato. Prima quindi di ridurre i trasferimenti che incidono direttamente sull’efficienza della macchina amministrativa bisognerebbe eliminare tutto ciò di cui si può fare a meno. Delle province si è già lungamente parlata e pare che si stia attuando la loro totale abolizione ma ci sono altre Istituzioni di cui si può fare a meno: Il Senato, ad esempio, essendo un doppione della Camera rappresenta anche un’ostacolo alla rapida approvazione delle Leggi (che spesso vengono palleggiate in eterno tra i 2 rami del parlamento). La sua sostituzione con un’assemblea composta dai sindaci dei capoluoghi di provincia e dai presidenti delle regioni, avente carattere solo consultivo ed approvativo, farebbe ridurre i costi di qualche miliardo di euro e sveltirebbe la macchina legislativa. Anche molti Ministeri paiono inutili e comunque accorpabili tra loro con notevoli risparmi economici. Le strutture istituzionali indispensabili paiono comunque sovradimensionate e dovrebbero essere adeguatamente ristrutturate.
Da questa operazione emergerà un  notevole numero di dipendenti pubblici in esubero, tale forza lavoro dovrà essere impiegata in ruoli produttivi per la collettività migliorando settori strategici come il turismo e l’ecologia
Altrettanto scontata è la vendita del patrimonio immobiliare dello Stato e delle partecipazioni perché lo Stato no deve essere ne immobiliarista ne imprenditore.

Dobbiamo incentivare gli investimenti produttivi sul territorio e per fare ciò dobbiamo scoraggiare gli impieghi finanziari a titolo speculativo. Fino a quando il profitto finanziario verrà tassato al 20% mentre quello d’impresa è al 45%  ben pochi investiranno il loro denaro in imprese produttive. Ferma restando quindi la tassazione agevolata sui rendimenti delle obbligazioni (strumento di finanziamento diretto delle Imprese), il reddito annuo complessivo derivante dalle transazioni azionarie o da altri strumenti finanziari assimilati deve essere portato al livello di qualsiasi altro reddito da impresa (44,5% medio ritenuto alla fonte in sede di prese di beneficio). Qualcuno dirà che così si deprime la borsa  ma io dico che si colpisce solo la speculazione (per limitare la quale non basta impedire le vendite allo scoperto).

Dobbiamo fare emergere tutto il sommerso e questo si può fare solo con una riforma fiscale che tassi esclusivamente il risparmio consentendo di detrarre integralmente tutti gli acquisti. Una simile riforma tuttavia richiede anni, tempo che oggettivamente non abbiamo. Per ovviare alla mancanza di tempo si deve adottare un sistema rigido che prospetti per gli evasori pizzicati la “Certezza della detenzione in galera per un tempo commisurato all’entità della somma evasa” senza la possibilità di misure alternative. Paradossalmente, il reato di evasione fiscale deve essere parificato a quello di omicidio perché di omicidio ai danni della collettività si tratta. Un simile deterrente farebbe emergere molto sommerso (si stima che il sommerso sia pari al PIL nazionale) e farebbe crescere il PIL come d‘incanto sistemando i conti pubblici con un colpo di bacchetta magica.

Dobbiamo regolarizzare le professioni anomale (maghi, fattucchiere, prostitute) in modo che anch’essi rilascino ricevute fiscali e paghino le tasse sui loro proventi.

Dobbiamo lasciar perdere il sogno (assurdo) federalista, un idea che ora non ci possiamo permettere e che è un freno allo sviluppo equo del nostro territorio. Abbiamo bisogno di uno Stato Centrale forte (oggi più che mai) in grado di guidare lo sviluppo di quella parte di territorio, il sud, che proprio per la sua arretratezza offre maggiori possibilità di crescita economica. Per fare questo però è necessario che lo Stato si riappropri di quel territorio sottraendolo ai potentati locali di tipo mafioso che ad oggi lo dominano. Uno Stato Centrale forte capace di un’azione di forza per riaffermare, magari anche militarmente, la sua autorità in luoghi fino ad ora dimenticati e considerati ai margini delle Istituzioni.

Dobbiamo valorizzare le risorse del Paese, tutelare le nostre  imprese all’estero, creare un fondo governativo che si occupi di pagare le spese per i brevetti internazionali d’invenzione(costosissimi), frutto dell’ingegno degli italiani, in cambio dell’impegno da parte del titolare del brevetto a realizzare la fase produttiva nel nostro Paese.

Dobbiamo riflettere attentamente sulla liberalizzazione imprenditoriale a 360° che si sta attuando perché le imprese debbono nascere compatibilmente con le risorse territoriali. Non possiamo permetterci di costruire nuovi mostri di acciaio come quello tristemente famoso di Taranto, un monumento spettrale che ha tolto ogni possibilità di sviluppo turistico di quel golfo.

Dobbiamo liberalizzare totalmente i rapporti di lavoro, lasciando agli imprenditori assoluta libertà di licenziamento perché è giusto che l’imprenditore scelga e valuti come desidera i propri collaboratori. Dobbiamo però, di contro, ripristinare il salario minimo contrattuale perché è immorale e socialmente penalizzante che ci siano lavoratori (e spesso giovani) sottopagati con salari da fame.

Dobbiamo ripristinare il meccanismo delle licenze commerciali perché chi investe e fa impresa deve essere tutelato e lo sviluppo delle superfici commerciali deve essere compatibile con il territorio ed i suoi abitanti (Un negozio di abbigliamento che lavora correttamente in un rione, guadagna e paga tasse ma se nello stesso rione ne vengono aperti altri 2 danno la fame tutti e tre e lo Stato non prende nulla).

Ora basta !!! Non mi dilungo oltre anche se nel dettaglio ci sarebbero molte altre cose da scrivere.

Sentendo i discorsi odierni dei politici ai vari TG mi coglie un grande scoramento e sento che sto andando in depressione. Pensandoci bene sento anche un lieve dolorino alle parti basse: ora provo ad andare al gabinetto ………….. magari quando ne uscirò mi sarà tornato l’ottimismo.

Saluti

giovedì 1 settembre 2011

LA CRISI ECONOMICA (di Marco Corrini)  Torino 30 Agosto 2011

Cari amici, prendo spunto dalla nota di Francesco Giannatasio sulla crisi economica per esprimere un mio libero pensiero.
Le considerazioni di Francesco sono assolutamente condivisibile ma appaiono, secondo me, parziali, scontate e anche un po’ retoriche. Le ragioni della crisi sono assai più profonde e i rimedi non sono così semplici da individuare.
Occorre anzitutto suddividere il tema in due scenari distinti: quello globale e quello nazionale.

Lo scenario Globale

Affermare infatti (come fa Francesco) che la crisi mondiale dei debiti sovrani è frutto di malversazioni e cattive amministrazioni, è fondamentalmente sbagliato perché tale crisi tocca oggi anche Paesi che da tempo sono esempio di moralità istituzionale.
In realtà la Crisi ha ragioni più tecniche e viene in gran parte originata proprio da quel meccanismo umorale ed irrazionale che è il sistema borsistico mondiale, un sistema che reagisce più alle sensazioni che non ai fatti concreti.
Giova ricordare che la Borsa nasce come lo strumento attraverso il quale le Aziende si finanziano. Dal punto di vista dell’azienda quindi, una volta emessa l’azione ad un valore nominale di 100 ed incassato 100 dal sottoscrittore, l’operazione è terminata. Se poi il mercato (e la speculazione) porta in breve tempo il valore di quell’azione a 1000 (forte guadagno) oppure a 10 (forte perdita) all’azienda non interessa più e soprattutto non ha ripercussioni sull’attività, al limite solo sull’immagine (certo se le azioni salgono molto l’azienda, in caso di emissione di nuove azioni, incasserà di più, mentre se le azioni si avvicinano allo 0 cercherà comunque di difenderne il valore). La Borsa è il teatro nel quale le azioni vengono scambiate secondo le Leggi di mercato, quindi con valutazioni che dipendono dal meccanismo della domanda e dell’offerta, un meccanismo che è influenzato esclusivamente da criteri umorali e dalla speculazione attuata dai grandi capitalisti indipendentemente dal valore reale dell’impresa trattata.
Se la Borsa scende quindi c’è maggior difficoltà per le imprese ad ottenere nuovi finanziamenti dal mercato tramite l’emissione di nuove azioni ma altri contraccolpi per il mondo imprenditoriale produttivo non ce ne sono; in realtà il crollo delle borse danneggia solo i piccoli investitori che si spaventano e sono portati a svendere i loro pacchetti azionari.
Ci sono poi, indubbiamente, cali azionari che riflettono un effettivo stato di crisi dell’azienda (vedi il terremoto che ha coinvolto le banche) e che hanno un riflesso diretto sull’economia globale ma sono situazioni nettamente distinte.
Se la valutazione dell’affidabilità e della solvibilità di un Paese sovrano e del proprio debito viene affidata ad un’entità così aleatoria come la Borsa, è normale che ogni più piccola turbolenza si trasformi in un pericolo per la stabilità economica dei Paese; se poi la turbolenza è (come in questo periodo) un uragano allora lo spettro del fallimento globale si concretizza con facilità anche se in realtà non ci sono condizioni concrete di fallimento (o almeno non per tutti).
Tempo addietro i titoli di debito pubblico dei Paesi erano collocati all’interno del Paese stesso: in sostanza erano i cittadini che finanziavano direttamente il proprio Paese. La crescita ha portato alla necessità di infrastrutture sempre più nuove e moderne con massicci investimenti da parte degli Stati e conseguente aumento vertiginoso del debito che per poter essere coperto ha dovuto assumere una dimensione globalizzata. Per questo motivo, oggi, gran parte dei titoli dei debiti sovrani dei paesi occidentali sono finanziati dalla Cina o nelle mani della speculazioni internazionale.
Tremonti, recentemente, ha proprio voluto richiamare l’attenzione sulla valutazione globale del debito dello Stato, una valutazione che tenga conto del debito sovrano ma anche delle riserve private delle famiglie.
Questo elemento è particolarmente importante per il nostro Paese, un Paese che vede il proprio Debito Sovrano fortemente svalutato dal sistema borsistico malgrado, tra tutte  le grandi economie occidentali, gli italiani sono i soli che, se lo volessero, per spirito patriottico, potrebbero facilmente farsi totale carico del proprio debito pubblico senza dover dipendere dal buon cuore della Cina, a riprova dell’inaffidabilità del sistema borsistico come indice valutativo dello stato di salute di un Paese.

Scenario nazionale

Detto della volatilità delle indicazioni borsistiche resta una situazione economica nazionale ai limiti del disastro, dominata da un caos istituzionale senza precedenti, all’insegna del tutti contro tutti o del “Muoia Sansone con tutti i Filistei” salvo che qui Sansone ha già le valige pronte e a morire saranno solo i Filistei.
Quando si fanno valutazioni macroeconomiche dobbiamo renderci conto che non hanno mai attuazione immediata ma anzi, spesso, si verificano nel lungo periodo. Allo stesso modo le soluzioni ai problemi macroeconomici trovano attuazione in tempi molto lunghi per cui, quando si vuole risolvere uno stato di crisi in una Nazione bisogna mettere in preventivo tempistiche molto lunghe caratterizzate da lacrime, sangue, convinzione e grande perseveranza.
Più di 10 anni fa affermavo in un mio articolo che il grande problema dell’Italia in prospettiva, più ancora degli sperperi della macchina pubblica, sarebbe stato il margine di profitto dell’imprenditoria. Già allora appariva chiaro che all’imprenditore (soffocato da una burocrazia asfissiante e da un livello di tassazione eccessivo) non conveniva fare impresa in Italia. Oggi il problema si propone in tutta la sua drammaticità.
Ricordo che l’indice che maggiormente identifica la salute di uno Stato è il rapporto tra il PIL e il Debito Pubblico. Oggi tale rapporto è per noi estremamente sfavorevole perché il debito è progressivamente aumentato mentre il PIL è (incredibilmente) stazionario. Il Pil è ‘indicatore della ricchezza prodotta in un Paese ed è evidente che ciò che maggiormente concorre a formarlo è il sistema imprenditoriale. Se non c’è convenienza a fare impresa (legale) in un Paese, il PIL di quel Paese non potrà mai crescere e se il PIL non cresce non ci saranno le risorse per abbattere il debito.
Il paradosso è che ciò che ancora ci tiene a galla è proprio l’illegalità diffusa, quell’illegalità che da una parte consente agli imprenditori, come componente sommersa del reddito, di raggiungere il profitto desiderato e quindi restare a fare impresa sul territorio (mantenendo inalterato il PIL) e dall’altra parte consente a chi evade il fisco di accumulare quelle stesse risorse economiche che oggi ci permettono di poter affermare che gli italiani sono in grado di coprire il proprio enorme debito pubblico.
Il Peccato Originale, quello che frena ogni tentativo riformatore teso al rilancio economico è quindi la mancanza di convenienza ad investire denaro in imprese (Legali) sul territorio italiano e fino a quando non avremo risolto questo problema non potremo rilanciare l’economia, aumentare l’occupazione e tornare a creare ricchezza risolvendo il dissesto dei conti pubblici nella maniera più salutare: tramite l’aumento del PIL.
Tutte le Manovre e Manovrine dell’ultimo decennio sono state all’insegna della riduzione della spesa, tale riduzione ha coinvolto solo i servizi penalizzando ulteriormente il funzionamento dello Stato e obbligando gli Enti Locali ad aumentare le imposizioni di loro spettanza per compensare la riduzione dei trasferimenti dallo Stato Centrale. Si è voluto il Federalismo ma si sono obbligati gli Enti Federali ad autofinanziarsi attingendo dalle tasche dei contribuenti in misura sempre maggiore. Sono tutti provvedimenti tesi al tamponamento dell’immediato; nessuno ha seriamente pensato al futuro, come dire” Il futuro sarà di un altro Governo e quindi non ci riguarda”. Come si è, anche solo ventilata l’idea di un contributo di solidarietà da parte delle classi più abbienti c’è stata una sollevazione popolare e la norma è stata subito cancellata; come dire: “Paga sempre Pantalone, in un modo o nell’altro”.
Con una classe politica che ragiona così non c’è assolutamente modo di uscire da questo pantano e quindi ogni ulteriore riflessione è inutile e rischia di fare la fine dei suggerimenti del povero Machiavelli, chiusi del cassetto del ‘De Medici di turno per 4 o 500 anni.
Malgrado sia assolutamente certo che questo mio pensiero si disperderà inascoltato voglio comunque esprimerlo.

Le soluzioni

Anche se nell’immediato appare scontato che debbano venire adottato provvedimenti di contenimento della spesa, la logica vorrebbe che tali provvedimenti toccassero le componenti improduttive dell’amministrazione dello Stato. Prima quindi di ridurre i trasferimenti che incidono direttamente sull’efficienza della macchina amministrativa bisognerebbe eliminare tutto ciò di cui si può fare a meno. Delle province si è già lungamente parlata e pare che si stia attuando la loro totale abolizione ma ci sono altre Istituzioni di cui si può fare a meno: Il Senato, ad esempio, essendo un doppione della Camera rappresenta anche un’ostacolo alla rapida approvazione delle Leggi (che spesso vengono palleggiate in eterno tra i 2 rami del parlamento). La sua sostituzione con un’assemblea composta dai sindaci dei capoluoghi di provincia e dai presidenti delle regioni, avente carattere solo consultivo ed approvativo, farebbe ridurre i costi di qualche miliardo di euro e sveltirebbe la macchina legislativa. Anche molti Ministeri paiono inutili e comunque accorpabili tra loro con notevoli risparmi economici. Le strutture istituzionali indispensabili paiono comunque sovradimensionate e dovrebbero essere adeguatamente ristrutturate.
Da questa operazione emergerà un  notevole numero di dipendenti pubblici in esubero, tale forza lavoro dovrà essere impiegata in ruoli produttivi per la collettività migliorando settori strategici come il turismo e l’ecologia
Altrettanto scontata è la vendita del patrimonio immobiliare dello Stato e delle partecipazioni perché lo Stato no deve essere ne immobiliarista ne imprenditore.

Dobbiamo incentivare gli investimenti produttivi sul territorio e per fare ciò dobbiamo scoraggiare gli impieghi finanziari a titolo speculativo. Fino a quando il profitto finanziario verrà tassato al 20% mentre quello d’impresa è al 45%  ben pochi investiranno il loro denaro in imprese produttive. Ferma restando quindi la tassazione agevolata sui rendimenti delle obbligazioni (strumento di finanziamento diretto delle Imprese), il reddito annuo complessivo derivante dalle transazioni azionarie o da altri strumenti finanziari assimilati deve essere portato al livello di qualsiasi altro reddito da impresa (44,5% medio ritenuto alla fonte in sede di prese di beneficio). Qualcuno dirà che così si deprime la borsa  ma io dico che si colpisce solo la speculazione (per limitare la quale non basta impedire le vendite allo scoperto).

Dobbiamo fare emergere tutto il sommerso e questo si può fare solo con una riforma fiscale che tassi esclusivamente il risparmio consentendo di detrarre integralmente tutti gli acquisti. Una simile riforma tuttavia richiede anni, tempo che oggettivamente non abbiamo. Per ovviare alla mancanza di tempo si deve adottare un sistema rigido che prospetti per gli evasori pizzicati la “Certezza della detenzione in galera per un tempo commisurato all’entità della somma evasa” senza la possibilità di misure alternative. Paradossalmente, il reato di evasione fiscale deve essere parificato a quello di omicidio perché di omicidio ai danni della collettività si tratta. Un simile deterrente farebbe emergere molto sommerso (si stima che il sommerso sia pari al PIL nazionale) e farebbe crescere il PIL come d‘incanto sistemando i conti pubblici con un colpo di bacchetta magica.

Dobbiamo regolarizzare le professioni anomale (maghi, fattucchiere, prostitute) in modo che anch’essi rilascino ricevute fiscali e paghino le tasse sui loro proventi.

Dobbiamo lasciar perdere il sogno (assurdo) federalista, un idea che ora non ci possiamo permettere e che è un freno allo sviluppo equo del nostro territorio. Abbiamo bisogno di uno Stato Centrale forte (oggi più che mai) in grado di guidare lo sviluppo di quella parte di territorio, il sud, che proprio per la sua arretratezza offre maggiori possibilità di crescita economica. Per fare questo però è necessario che lo Stato si riappropri di quel territorio sottraendolo ai potentati locali di tipo mafioso che ad oggi lo dominano. Uno Stato Centrale forte capace di un’azione di forza per riaffermare, magari anche militarmente, la sua autorità in luoghi fino ad ora dimenticati e considerati ai margini delle Istituzioni.

Dobbiamo valorizzare le risorse del Paese, tutelare le nostre  imprese all’estero, creare un fondo governativo che si occupi di pagare le spese per i brevetti internazionali d’invenzione(costosissimi), frutto dell’ingegno degli italiani, in cambio dell’impegno da parte del titolare del brevetto a realizzare la fase produttiva nel nostro Paese.

Dobbiamo riflettere attentamente sulla liberalizzazione imprenditoriale a 360° che si sta attuando perché le imprese debbono nascere compatibilmente con le risorse territoriali. Non possiamo permetterci di costruire nuovi mostri di acciaio come quello tristemente famoso di Taranto, un monumento spettrale che ha tolto ogni possibilità di sviluppo turistico di quel golfo.

Dobbiamo liberalizzare totalmente i rapporti di lavoro, lasciando agli imprenditori assoluta libertà di licenziamento perché è giusto che l’imprenditore scelga e valuti come desidera i propri collaboratori. Dobbiamo però, di contro, ripristinare il salario minimo contrattuale perché è immorale e socialmente penalizzante che ci siano lavoratori (e spesso giovani) sottopagati con salari da fame.

Dobbiamo ripristinare il meccanismo delle licenze commerciali perché chi investe e fa impresa deve essere tutelato e lo sviluppo delle superfici commerciali deve essere compatibile con il territorio ed i suoi abitanti (Un negozio di abbigliamento che lavora correttamente in un rione, guadagna e paga tasse ma se nello stesso rione ne vengono aperti altri 2 danno la fame tutti e tre e lo Stato non prende nulla).

Ora basta !!! Non mi dilungo oltre anche se nel dettaglio ci sarebbero molte altre cose da scrivere.

Sentendo i discorsi odierni dei politici ai vari TG mi coglie un grande scoramento e sento che sto andando in depressione. Pensandoci bene sento anche un lieve dolorino alle parti basse: ora provo ad andare al gabinetto ………….. magari quando ne uscirò mi sarà tornato l’ottimismo.

Saluti


Sabato confronto sui rifiuti tra Caldoro e De Magistris


Avellino- Da oggi ritorna l’appuntamento a Labro con la festa nazionale di Alleanza per l’Italia che avrà come titolo “Noi per cambiare l'Italia". E’ il secondo anno che la cittadina in provincia di Rieti ospita l’evento che si concluderà domenica 4 settembre con l’intervento di Francesco Rutelli. Saranno presenti numerosi personaggi di spicco del mondo politico quali Pierferdinando Casini, Pierluigi Bersani e Angelino Alfano.

Ma il fiore all’occhiello della festa sarà la Scuola Nazionale di Formazione Politica, per la quale sono stati selezionati 200 ragazze e ragazzi tra i 18 e i 29 anni di ogni parte d'Italia al fine di far acquisire loro le prime competenze per partecipare in prima persona alla politica. I lavori si svolgeranno ogni mattina con il Campo Giovani Terzo Polo organizzato in tre laboratori tematici: Organizzare la politica, Comunicare la politica, La politica e la rete cui seguiranno lezioni tenute da docenti qualificati e da rappresentanti delle istituzioni. I giovani più bravi saranno premiati al termine dei corsi, e potranno ottenere borse di studio, o partecipare a stage nelle strutture organizzative territoriali di Api.

Inoltre ci saranno alcuni ospiti internazionali quali Rod Snyder, presidente dei Young Democrats of America, i giovani democratici statunitensi; Salma Akl, blogger, componente del National Democratic Institute del Cairo, e Sveinung Rotvan, presidente dei Giovani Liberali Norvegesi.

Infine sabato 3 settembre, alla tavola politica ci sarà Stefano Caldoro governatore della Campania e Luigi De Magistris sindaco di Napoli che interverranno nel dibattito “Il ciclo dei rifiuti in Campania, questione nazionale”. Ai lavori di Labro prenderà parte una delegazione della direzione provinciale di API Avellino e due rappresentanti dei giovani faranno la loro prima esperienza alla Scuola Nazionale di Formazione Politica.

Il segretario provinciale di Alleanza per l’Italia Nino Musto, con entusiasmo ha dichiarato:” Siamo all’alba di una nuova fase politica per l’Italia. Poniamo fine con il Terzo Polo a 18 anni di “berlusconismo” e di individualismo in politica. Ci auguriamo che a cascata questo rinnovamento della politica riguardi anche la nostra amata Irpinia”.



01 SETTEMBRE 2011

martedì 30 agosto 2011

RIQUALIFICAZIONE URBANA di gianni vignuolo



Alessandria

Alessandria, 30 agosto 2011


RIQUALIFICAZIONE   URBANA 

            Ultimamente il problema legato al recupero e valorizzazione dei centri storici sembra aver scalzato la solita annosa questione relativa alle periferie.
In effetti riferendosi alla nostra realtà si evince facilmente l'urgenza di una risoluzione.
L'alternarsi delle decisioni politiche relative alla chiusura/apertura al traffico veicolare nel centro città, ha di fatto solo portato ad uno stallo della vitalità dello stesso.
In termini concreti legati anche alle normative che impongono ai comuni di circoscrivere aree chiuse al traffico, la delimitazione del centro storico come zona pedonale ha un suo perchè.
Certo è che rivoluzioni urbanistiche di questa portata non possono essere attivate dal giorno alla notte senza un piano socio-urbanistico ben definito che ne consenta la corretta fattibilità.
Il centro chiuso al traffico veicolare deve costituire una risorsa per il cittadino che intende vivere la propria città che, a sua volta, per attirare i suoi abitanti deve rispolverare e portare a nuova luce i propri punti di interesse.
Per permettere al cittadino di approvare un piano di sviluppo di questo genere, è necessario in primo luogo invogliarlo ad abbandonare il suo mezzo di trasporto a quattro ruote realizzando comodi e poco costosi parcheggi in zone strategiche limitrofe al centro.
In secondo luogo rivitalizzare quelle vie centrali che di fatto fino ad oggi costituivano dei percorsi viari e che da domani dovranno essere messi a disposizione delle capacità imprenditoriali dei commercianti, ospitando punti di ristori con annessi dehors, negozi di ogni genere e sorta, spazi dedicati alla cultura e qualsiasi altra valida inziativa che implementi la rivitalizzazione del nostro centro.
Un'amministrazione attenta ascolta i bisogni dei propri cittadini e rielabora nel tempo una città su misura in cui ognuno attraverso il proprio contributo ne amplifichi attrattive e potenzialità.
Investire nella propria città per renderla più bella e consona alle proprie esigenze aiuta a vivere meglio in un clima di maggior benessere e ricchezza.
Aiutaci a riprogettare Alessandria con le tue idee ed i tuoi consigli e per una volta proviamo a credere che quello che abbiamo può essere meglio di quello che cerchiamo.

Direttivo API
Alleanza per l’Italia

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