venerdì 9 novembre 2012

Mazzocco: «Candidatura Tabacci atto di riflessione necessario»

«Considero la candidatura di Tabacci alle primarie del centrosinistra come uno sforzo di intelligenza. Un’interrogazione al perché delle cose, un atto di riflessione necessario in questo momento in cui la politica, e con essa anche tutte le espressioni antitetiche che così tanto stanno scuotendo il dibattito, ha rinunciato troppo comodamente alla cura dei problemi collettivi, alle scelte impopolari, alla tensione etica». Parla così Vilma Mazzocco in qualità di dirigente nazionale ApI in occasione della presentazione del libro-intervista di Bruno Tabacci, dal titolo “Pensiero libero” a Potenza.
«La candidatura di Tabacci - continua la Mazzocco - arricchisce l’esperienza di Monti ben aldilà delle insorgenze grilline, di cui credo il Paese non abbia affatto necessità, almeno per il senso di una sua richiesta di chiarezza progettuale e di assunzione di responsabilità. E’ la trama che può unire moderati e progressisti dentro un nuovo disegno di riscossa e ben oltre l’intensità delle grandi delusioni che il Paese ha ricevuto nel corso di questi difficilissimi anni. E’ questa l’impostazione che ho sempre dato alla mia esperienza politica e che considero coerente con la mia persona. Essere un politico moderato oggi significa avere idee forti. L’esperienza dei moderati con Tabacci può rappresentare il punto di riferimento del bilanciamento della coalizione di centrosinistra in funzione proprio della moderazione».
 
«E’ di esempio, in tal senso - conclude la dirigente ApI - il “laboratorio Basilicata”, dove Alleanza per l’Italia come centro moderato autonomo si è saputo relazionare ad un centro sinistra riformista, in un rapporto di responsabile costruzione».

giovedì 8 novembre 2012

L'ERA OBAMA

mercoledì 7 novembre 2012. Categoria: Visti da qui, Autore: Giorgio Tonini 
L'ERA OBAMA
Quattro anni fa, la parola d'ordine vincente di Obama fu "Change", accompagnata dallo slogan "Yes, we can!" Quattro anni dopo, Obama ha conquistato il secondo mandato presidenziale (e un posto nella storia, non più solo come primo presidente nero) grazie a un'altra parola: "Forward", avanti! E a un altro slogan: "Four more years!", datemi, diamoci, altri quattro anni, il tempo necessario per provare a trasformare un episodio di rottura, che ha corso il rischio di ridursi all'ennesimo sogno spezzato della storia americana, un po' Kennedy e molto Carter, in un vero ciclo riformista, meno lontano dal modello Roosevelt.
Obama li ha avuti, questi altri quattro anni. E sappiamo già per quali obiettivi li spenderà: sul piano internazionale, per far avanzare la prospettiva di un governo multilaterale del multipolarismo, coniugando il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli con la scelta preferenziale per la democrazia e i diritti umani; e sul piano interno, per la creazione delle premesse per uno sviluppo sostenibile, non più drogato da una domanda a debito, ma fondato sulle solide basi di un reddito creato dalla produzione, dal lavoro, dalla conoscenza.
Su entrambi i versanti, Obama deve indurre e accompagnare gli Stati Uniti a "declinare crescendo", per prendere a prestito un fortunato ossimoro di Bruno Manghi: declinare in termini relativi, dal rango di iperpotenza solitaria e imperiale (o meglio dalla illusione di possederlo) che ha caratterizzato la stagione di George W. Bush, ma per crescere, fino ad esercitare il ruolo di "presidente democratico" di una comunità internazionale che ha ancora e forse più che mai bisogno di un "egemone responsabile". E declinare da una crescita a debito, che si è in effetti rovesciata in dipendenza, oltre che in squilibrio globale insostenibile, in favore di una crescita solida, basata sulla straordinaria capacità degli Stati Uniti di inventare, innovare, creare non solo prodotti, ma idee, paesaggi umani, in definitiva mondi immaginari e realizzabili al tempo stesso: dal grattacielo, allo spazio, fino al computer e all'ipad.
Nei quattro anni del suo primo mandato, Obama ha posto premesse significative di questa ambiziosa impresa. Ma sul piano internazionale, alla nuova dottrina, che di per sé ha cambiato lo scenario (basti pensare alla primavera araba), non hanno ancora corrisposto successi tangibili nella gestione delle tante crisi regionali, a cominciare dalla questione israelo-palestinese. Su quello interno, il principale insuccesso di Obama è stato il blocco del Congresso, figlio della deriva hyperpartisan della politica americana, e in particolare della egemonia della destra religiosa e ideologica sul Partito repubblicano.
Su entrambi i fronti, Obama sa di non potersi aspettare miracoli. Ma la sua autorevolezza esce indubbiamente rafforzata dalla conferma elettorale: un dato che potrà rivelarsi prezioso ad esempio nella gestione dell'intricato dossier mediorientale, così come nel rapporto col Congresso. In particolare, la sconfitta per quanto onorevole di Romney, insieme alla vittoria dello spirito unitario e bipartisan di Obama, potrebbe indurre ad una più matura riflessione nel Partito repubblicano, circa la sterilità politica e perfino elettorale del radicalismo di destra, schiudendo la possibilità di una nuova stagione di cooperazione tra Casa Bianca e Campidoglio.
bis
Per l'Europa, la rielezione di Obama presenta il vantaggio di confermare un rapporto ormai rodato e nel complesso positivo. E non solo per la popolarità di Obama nel Vecchio Continente: non è vero infatti che Obama si disinteressi dell'Europa, anche se è indubbio che il Pacifico ha da tempo conquistato una posizione centrale nell'agenzia della Casa Bianca. Obama sa che solo insieme all'Europa potrà affrontare i due principali dossier che ingombrano il suo tavolo nello studio ovale: la crisi economica e il rapporto col mondo arabo-islamico.
La vittoria di Obama parla anche a noi, democratici italiani. Innanzi tutto perché mantiene vivo e anzi rilancia poderosamente il pensiero democratico, quello che avevamo voluto porre alla base del partito nuovo, della casa comune dei riformisti italiani. Un pensiero che, proprio perché fa della democrazia, con la sua umanistica consapevolezza del limite radicale della politica, il suo ideale regolativo, rifugge dall'ideologia e dallo spirito conservatore che essa porta con sé (insieme e non casualmente con una buona dose di cinismo), in favore di un impasto originale di radicalità  dei valori, dei principi, dei comportamenti, degli stili di vita, e di pragmatismo creativo e curioso, nella ricerca di soluzioni innovative ai problemi collettivi.
ter
Un pensiero che considera semplicemente insensata la distinzione e ancor più la divisione del lavoro, tra sinistra e centro, tra progressisti e moderati. Obama è irriducibile ad una sola di queste due dimensioni: come ogni vero riformista democratico, Obama è al tempo stesso un progressista, un uomo di sinistra, per i fini che persegue, a cominciare dalla promozione della pace tra i popoli e dell'uguaglianza sociale e civile. Ed è un moderato, un centrista, per la capacità di dialogo, lo spirito bipartisan, la disposizione alla gradualità nel cambiamento di cui pure avverte l'urgenza. Una volta la chiamavamo "vocazione maggioritaria". E vorrà pur dire qualcosa (e dovrebbe essere per noi democratici motivo di riflessione approfondita) che gli italiani che hanno stabilito un feeling più forte e diretto con Obama si chiamano Giorgio Napolitano, Mario Monti e Sergio Marchionne.
quater

CARI AMICI DEL PD,
VI PIACE VINCERE FACILE?

...allora ditelo (a Napolitano) !

Cari amici del PD,
nella storia della nostra Repubblica la sinistra non ha mai vinto, da sola, le elezioni politiche. Le uniche due volte che è arrivata al Governo deve ringraziare 
Romano Prodi, un democristiano
Sapete benissimo che anche nel 2013 è molto improbabile che l’accoppiata Bersani-Vendola ottenga più del 35/37% dei voti dei cittadini. Ma a voi piace vincere facile… A parole, in questi anni, avete aborrito il Porcellum, ma ora vi fa comodo perché col 35% dei voti otterreste il 55% dei deputati e vi piacerebbe non cambiare questa  legge. Ma allora ditelo che volete conservare il Porcellum! Ditelo innanzitutto alla Corte Costituzionale, che – giustamente – avete considerato saggia e giusta quando bocciava le leggi ad personam di Berlusconi e che ora non volete ascoltare quando dice che è inaccettabile dare quasi il doppio dei parlamentari a chi prende solo 35% dei voti. Ditelo al Presidente della Repubblica Napolitano (ex UDC?) che chiede di cambiare la legge elettorale nel senso richiesto dalla Consulta e auspica tutti i giorni coalizioni create per governare, non solo per vincere le elezioni! Ditelo ai principali commentatori politici italiani (Francesco Verderami, Stefano Folli, Marcello Sorgi, Massimo Franco, ecc… ) che sui giornali, anche ieri, vi hanno ricordato tutto questo.
Cari amici del PD, il popolo è sovrano e deve governare chi ha il consenso della maggioranza degli italiani elettori. Non chi ha il 35%. E se nessuno raggiunge la maggioranza, c’è un luogo chiamato Parlamento dove si possono creare coalizioni capaci di governare che non si è stati in grado di formare prima del voto! Insomma, se vi piace vincere facile e volete conservare il Porcellum… allora ditelo!!
        

martedì 6 novembre 2012


Il presidente della Camera prende 1.500 euro in più di Schifani. Seguono due governatori, Formigoni e Vendola. Compensi ridotti? Sì, ma occhio a benefit e rimborsi...


1"15mila euro al mese": ecco l'articolo che fa infuriare Gianfry

Gianfranco Fini è l’uomo politico più pagato di Italia anche dopo tre manovre finanziarie lacrime e sangue che hanno provato a ridurre i costi della politica e dopo cinque anni esatti di polemiche sulla Casta. Il presidente della Camera ha la medaglia d’oro degli stipendi politici italiani con un netto mensile certo di 15.114 euro fra indennità di funzione, indennità di carica e rimborsi forfettari esentasse. Il podio olimpico degli stipendi politici è completato dalla medaglia d’argento conquistata da Roberto Formigoni, presidente della più grande Regione italiana, la Lombardia, che può contare su 14.767 euro netti al mese,  anche lui fra indennità netta e rimborsi forfettari. Medaglia di bronzo nella classifica dei politici d’oro a sorpresa per il governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, che ogni mese può contare su un netto di 14.595 euro comprensivo di indennità e rimborsi spese forfettari. Medaglia di legno, e quindi quarto posto assoluto per Rosy Bindi, vicepresidente della Camera e presidente del Pd con 13.985 euro netti al mese (esclusi eventuali compensi per la carica di partito ricoperta). Riesce a battere di 435 euro al mese il presidente del Senato, Renato Schifani, che si è piazzato al quinto posto assoluto. Tutti sopra i 12.500 euro netti al mese i primi dieci della classifica, fra cui si sono il leghista Giancarlo Giorgetti, il presidente del Copasir e leader del Pd, Massimo D'Alema, i finiani Giulia Bongiorno e Fabio Granata e il presidente del consiglio dei ministri Mario Monti, che però quei soldi percepisce solo sulla carta, perché non incassa l’indennità da premier limitandosi a ritirare i compensi previsti dallo status di senatore a vita.
Gli stipendi netti sopra citati sono certamente ridotti rispetto a due anni fa, perché le manovre di tagli ai costi della politica hanno inciso su gran parte delle indennità di carica e funzione e anche sui rimborsi spesa di deputati e senatori. Le cifre non sono omnicomprensive, perché  a parte ci sono altri rimborsi spesa più o meno documentati e benefit legati alla carica (come  l’auto blu). I tagli però non sono stati uguali per tutti, e la cifra che salta più di ogni altra agli occhi è proprio la differenza fra lo stipendio di Fini e quello di Schifani, visto che entrambi presiedono un ramo del Parlamento. Per oltre tre lustri infatti era vera la proporzione opposta: i senatori venivano trattati meglio dei deputati. L’indennità parlamentare era più alta a palazzo Madama, la diaria era identica, l’importo dei rimborsi spesa forfettari (quelli che in teoria dovevano pagare l’assunzione di portaborse ed eventuali spese per tenere il rapporto con un collegio di provenienza ormai senza significato) era ancora una volta a vantaggio dei senatori.
Dopo le manovre di riduzione l’indennità si è sostanzialmente parificata, arrivando a una media di circa 5 mila euro netti al mese. Il singolo stipendio di deputato e senatore dipende dalle aliquote fiscali locali, che sono molto diverse da ragione a regione e da comune a comune di residenza. Pesantissime però per i parlamentari come per i comuni cittadini dopo la manovra salva-Italia fatta da Monti nel mese di dicembre 2011. Altra voce identica per deputati e senatori è la diaria: 3.500 euro netti al mese che tutti possono mettersi in tasca se non bigiano i lavori in modo scandaloso, indipendentemente dalle spese effettuate per dormire a Roma, visto che incassano quella somma anche parlamentari eletti e residenti nella capitale o nei suoi   dintorni.
Fino all’anno scorso senatori e deputati percepivano anche un rimborso a forfait di spese per mantenere i rapporti fra eletto ed elettore che ammontava a circa 3.690 euro per i deputati e a qualcosa in più per i senatori, dopo un taglio già avvenuto per entrambi di 500 euro al mese. Oltre a quel rimborso i parlamentari avevano un rimborso taxi che oscillava fra 1.100 e 1.300 euro al mese a seconda della distanza dell’aeroporto da raggiungere per venire a Roma (sotto i 100 km un po’ meno, sopra i 100 km di più), che però prescindeva dall'utilizzo effettivo dei taxi visto che era concesso anche ai romani che non devono raggiungere alcun aeroporto per venire a Roma e a chi ha l’auto blu con autista e quindi non usa taxi. Infine c’era un contributo aggiuntivo di 258 euro al mese di rimborso spese telefonino (il telefono fisso è già a carico delle Camere).
Con le nuove regole la Camera ha introdotto una piccola novità simbolica: l’indennità scende da 5 mila a 4.750 euro al mese per chi oltre al deputato esercita un secondo mestiere con reddito rilevante (liberi professionisti, imprenditori etc...). Per il rimborso a forfait delle spese - che quasi sempre diventava stipendio extra esentasse - le nuove regole del Senato sono molto più serie ed efficaci di quelle previste dalla Camera. Entrambi i rami del Parlamento hanno infatti deciso di ridurre la quota del rimborso a forfait, facendone diventare una parte consistente rimborso di spese documentate. Il forfait - che è puro stipendio extra - restato alla Camera è di 1.845 euro al mese per ogni deputato, mentre al Senato la stessa somma è più contenuta: 1.650 euro al mese. I deputati hanno quindi l’obbligo di documentare altri 1.845 euro al mese (di spese effettivamente sostenute, quindi non includibili nello stipendio), i senatori invece rendicontano spese fino a 2.090 euro al mese. Grazie a questa formula i senatori percepirebbero 195 euro mensili di stipendio netto meno dei colleghi deputati. Ma la differenza a loro sfavore è diventata sensibilmente più alta. Nei 1.650 euro mensili di rimborso a forfait per i senatori è ricompreso il vecchio rimborso taxi e il rimborso spese telefonino, per i deputati no. A loro vengono ancora erogati i rimborsi taxi da 1.107,9 euro mensili se residenti a meno di 100 km da un aeroporto o da 1.331,7 euro mensili se residenti a più di 100 km. E ancora 258,22 euro mensili di rimborso a forfait di spese telefonino. Quindi i deputati mettono in tasca ogni mese da un minimo di 11.464,23 euro al mese (se hanno un altro lavoro, e quindi l'indennità è ridotta di 250 euro e se abitano a meno di 100 km da un aeroporto) a un massimo di 11.938,03 euro al mese. I senatori invece percepiscono tutti al massimo 10.150 euro mensili: fra 1.300 e 1.800 euro nette al mese meno di un deputato.
Oltre a queste somme poi ci sono le indennità di carica: stipendi extra che vengono erogati a presidenti, vicepresidenti, segretari di presidenza, questori delle Camere e a presidenti e vicepresidenti di commissione oltre che a ministri e sottosegretari parlamentari. Variano da un minimo di 830 a un massimo 3.400 euro netti mensili.




ormai si vive in una dittatura mascherata da democrazia.... Gli italiani sono presi solo dai loro IPHONE, IPOD, i salcavolo che e non si accorgono che persone così ci stanno togliendo il pane dalla tavola. Ci foderano gli occhi con le notizie sul tempo....cavolo, in estate fa caldo e c'è siccità, in inverno fa freddo e capita che diluvia e c'è neve, ma pur di non farci sapere come i politici ci fottono in tv e sui giornali danno queste notizie. Il Fini...che si è dimenticato da dove proviene, dovrebbe farsi un esame di coscienza ma.... una coscienza ce l'ha?


Vacanza da 80mila euro
Grand Hotel Fini sulle camere alla scorta non la conta giusta


lunedì 5 novembre 2012

Caso Lusi, Di Noto: «Ora qualcuno cominci a chiedere scusa a Rutelli»

«Manca ormai poco al rinvio a giudizio di Lusi, ma la Procura di Roma ha intanto depositato gli atti e con essi il capo d'accusa nei suoi confronti. La contestazione del delitto di calunnia in danno di Francesco Rutelli, che e' il risultato della temeraria e disperata autodifesa dell'ex tesoriere, costitusce la riprova di quanto abbiamo da sempre sostenuto, a dispetto di uno tsunami mediatico che purtroppo ha provocato danni irreparabili. Avevamo ragione noi: ora qualcun altro, oltre Lusi, dovrebbe cominciare a chiedere scusa». Lo scrive Giuseppe Di Noto, responsabile giustizia di Alleanza per l'Italia.

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