Caro Andrea, cari amici,
Ho cercato di leggere attentamente sia questa tua
mail che l'intervento di Marco Calgaro alla Camera. Debbo dire che ho fatto
parecchia difficoltà a districarmi tra le innumerevoli citazioni filosofiche
riportate. Non riuscirò mai a comprendere perchè i politici continuino ad
utilizzare espressioni comunicative così contorte da risultare difficilmente
comprensibili ai più ma forse la ragione è proprio il segreto desiderio che
risultino effettivamente incomprensibili alle menti più semplici come la
mia.
Confesso di non avere esaminato i contenuti della
Legge e di non avere alcuna intenzione di farlo perchè mi è subito parso
evidente che si sarebbe trattato del solito pastrocchio
all'italiana.
Al riguardo, la mia posizione è decisamente chiara.
La questione è regolata da 3 punti ben precisi:
1) Il diritto di ciascun individuo di poter
decidere autonomamente ed in piena libertà se continuare a vivere o farla
finita.
2) Il dovere Costituzionale dello Stato di
assicurare comunque e indipendentemente dal decorso della malattia tutte le cure
possibili per la sopravvivenza (anche solo chimica) dell'individuo.
3) il diritto del medico curante di operare in base
alla propria coscenza
In questo scenario dominato da Diritti e Doveri
bisogna stabilire quali debbano prevalere.
Io penso che se il paziente è coscente, capace di
intendere e di volere e decide autonomamente di rinunciare alle terapie, nessuna
Legge al mondo (e nessun medico) dovrebbe poter contrastare questa
volontà.
Se il paziente è in stato vegetativo e non è in
grado di esprimersi nessuno al mondo (Stato, parenti o medici) può
arrogarsi in diritto di decidere per lui sul termine della propria
vita
Se il paziente in stato vegetativo ha
precedentemente e lucidamente espresso una formale rinuncia alla terapia di
sopravvivenza postuma bisogna rispettare la sua volontà e lasciarlo morire a
meno che non ci siano afondate speranze di un miglioramento della sua
condizione. Questo è effettivamente il punto più controverso perchè una formale
volontà di rinuncia terapeutica fatta in stato di salute mentale e
magari anche fisica non è detto che permanga sempre a posteriori e lo
stato vegetativo impedisce di confermarla ma, a mio avviso, tale espressione
di volontà deve essere trattata alla stessa stregua di una volontà
testamentaria.
Laddove la decisione di porre fine alla propria
esistenza deriva da una precisa volontà dell'assistito deve essere consentito
che la legislazione sanitaria consenta un decesso rapido ed indolore
pur nel rispetto della coscenza dei singoli medici ed operatori
sanitari.
Questa è, da sempre, la mia opinione in
materia.
Saluti
Marco Corrini
----- Original Message -----
Sent: Wednesday, July 13, 2011 3:41
PM
Subject: Legge sul fine vita
Con riguardo al provvedimento approvato dalla Camera dei Deputati
in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento ritengo, a titolo del
Comitato Liberale, di manifestare il pieno disappunto e la massima contrarietà
al testo licenziato dalla Camera.
Tra l'altro non ritengo, in simili materie, applicabile il criterio della
libertà di voto e quindi di coscienza del deputato. Infatti un deputato, nella
sua veste di legislatore, può e deve attenersi ad un unico criterio: nelle
materie controverse perchè implicanti scelte di vita individuali, si deve
garantire la libertà di coscienza e di scelta del cittadino, con una
legislazione laica perchè liberale e rispettova di quella che si chiama
l'autonoma ricerca della felicità (rievocando il testo della dichiarazione di
indipendenza redatta da Thomas Jefferson).
Il testo approvato, invece,
aderisce surrettiziamente ad alcuni principi rispettabili ma legati a scelte
individuali, determinate da una specifica relazione tra scienza ed etica. Ma
come dovrebbe esser notorio, una tale rispettabilità dei principi viene
difesa, in un società aperta e pluralista, garantendo la stessa validità di
principi diversi ed anche confliggenti quando questi altro non siano che
determinazioni individuali libere, spontanee e non arrecanti danno a terzi
(J.S. Mill, On liberty, 1854, sic!).
Questa è la stella polare di un intervento coerentemente
liberale.
Le dichiarazioni anticipate di trattamento che vengono
autorizzate sono farsesche: pretendono l'attualità della manifestazione che è
un requisito, nei casi più gravi ed importanti, di per sè inesigibile ed
indimostrabile, quindi vanificando l'efficacia giuridica delle stesse dat. Che
infatti diventano meri orientamenti, come tali disattendibili dal medico (che
sceglierà sulla base delle proprie convninzioni, scientifiche o etiche che
esse siano). Un esempio, tra i tanti, di normativa rinnegante, come l'avrebbe
chiamata un maestro della storia giuridica, il liberale Italo Mereu.
Sul punto riporto di seguito quanto scritto da Michele Ainis sul Corriere
della Sera di oggi. Poco mi pare necessario aggiungere.
Auspicavo che
API, quale soggetto dichiaratamente liberale, facesse proprio il principio
della libertà di coscienza, che deve esser garantita, in simili materie, ai
cittadini, poco o punto rilevando quella dei legislatori, a meno che non si
ritengano i cittadini destinatari di tutela perchè minus habentes.
Andrea Bitetto
La fiera dell'ossimoro in quattro paradossi
Articolo di Michele Ainis
pubblicato su Corriere della Sera, il 13/07/11
Nel gran teatro di Montecitorio ieri è andato in scena Eugène Ionesco, il
maestro dell'assurdo. Non tanto perché i nostri deputati si lambiccassero il
cervello in esercizi filosofici, mentre là fuori tremavano le Borse.
Nemmeno per la singolare concezione dell'urgenza che ispira il Parlamento:
il Senato ci ha messo 17 mesi per votare il ddl Calabrò sul testamento
biologico, la Camera ne ha fatti passare altri 14 prima di discuterlo, adesso
- chissà perché - lo sprint finale. Ma il paradosso non è soltanto esterno,
non è un effetto della congiuntura. No, abita all'interno della legge, come
una tenia dentro l'intestino. Anzi: a metterli in fila, i paradossi sono
almeno quattro.
Primo: le motivazioni. Quelle dettate in aprile dal presidente del
Consiglio, con una lettera ai suoi parlamentari. Sarebbe meglio non farla
questa legge (Berlusconi dixit), sarebbe preferibile lasciare un vuoto
normativo; ma siccome poi i giudici decidono lo stesso, ci toccherà turare il
vuoto. E in quale altro modo dovrebbero mai comportarsi, povericristi? Il
nostro ordinamento non ammette lacune: se un magistrato lascia cadere nel
silenzio un'istanza processuale, risponderà di denegata giustizia.
Secondo: i contenuti. A dir poco schizofrenici, dal momento che promettono
un diritto nell'atto stesso in cui lo negano. Ma l'acrobazia verbale sta nelle
definizioni. In particolare questa: alimentazione e idratazione forzata non
costituiscono terapie (dunque rifiutabili), bensì «forme di sostegno vitale»
(dunque irrinunciabili). E perché le terapie mediche sono sostegni
mortali?
Terzo: i destinatari. L'emendamento Di Virgilio li restringe ai pazienti in
«accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale»:
in pratica, i morti. Ma la nuova legge non s'indirizza neanche ai medici, dato
che nei loro riguardi il testamento biologico non è del tutto vincolante. E
allora che lo scriviamo a fare?
Quarto: i limiti. L'emendamento Barani-Binetti ha stabilito che possono
indicarsi soltanto i trattamenti sanitari accettati, non quelli rifiutati.
Insomma dimmi ciò che vuoi, taci su ciò che ti fa orrore. Sennonché la nostra
identità si configura proprio a partire da quanto respingiamo: come recita un
celebre verso di Montale, «codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non
siamo, ciò che non vogliamo». E poi, con il progresso vorticoso delle
tecnologie mediche, come diavolo potremmo immaginare oggi la cura che ci
salverà domani? Speriamo almeno che le Camere, insieme alla legge, ci regalino
una palla di vetro.
È questa fiera dell'ossimoro, questo circo degli equivoci, che ha infine
generato un testamento biologico profondamente illogico. Anche a costo di
divorziare dai Paesi liberali (Usa, Svizzera, Inghilterra, Germania e via
elencando), dove vige una facoltà anziché un divieto. Anche a costo di sfidare
l'impopolarità (il 77% degli italiani è sfavorevole: Eurispes 2011). Anche a
costo d'infliggere una ferita alla laicità delle nostre istituzioni, per
obbedire ai desideri della Chiesa. Come ha scritto su queste colonne (1 maggio
2011) Umberto Veronesi, come prima di lui osservava Indro Montanelli, la
dottrina ecclesiastica dovrebbe impegnare i chierici e i fedeli, non
l'universo mondo. Anche perché altrimenti il sondino di Stato bisticcia con la
Costituzione, oltre che con la logica. E i punti di frizione sono di nuovo
quattro, come i cavalieri dell'Apocalisse.
Primo: l'art. 32 della Carta repubblicana disegna la salute come un
diritto, non già come un dovere. Secondo: la medesima norma permette
trattamenti sanitari obbligatori, purché per legge e in nome dell'interesse
generale. È il caso delle vaccinazioni, per arginare i rischi del ,contagio;
ma di quale infezione era portatrice Eluana Englaro, quale minaccia al
prossimo reca il moribondo? Terzo: questa legge attenta anche alla privacy,
che nel suo nucleo concettuale garantisce la libertà degli individui rispetto
all'oppressione dei pubblici poteri. Quarto: ne resta infine vittima l'art.
33, che protegge la libertà degli uomini di scienza, e quindi degli stessi
medici. Insomma lo Stato non può imporre agli ingegneri le regole per
costruire un ponte, né stabilire come si curino i malati (Corte
costituzionale, sentenza n. 382 del 2002).
Ecco, sarebbe preferibile un po' più rispetto, per i medici, per i giudici,
per il popolo dolente dei malati. Sarebbe meglio abbandonare questa legge
imperativa, affidandosi a un giudizio reso caso per caso. Dopotutto ogni caso
è diverso, ciascuno ha la sua legge. E dopotutto vale pur sempre l'aforisma di
Thoreau: «Se il governo decide su questioni di coscienza, allora perché mai
gli uomini hanno una coscienza?».
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Comitato Liberale di Alleanza per l'ItaliaI