sabato 2 ottobre 2010

ALLEANZA PER L'ITALIA TESSERAMENTO

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venerdì 1 ottobre 2010

TABACCI :DA BERLUSCONI DISCORSO DA ATTORE CONSUMATO


Berlusconi «è venuto nel teatrino della politica, in Parlamento, era 2 anni che non lo frequentava e ha fatto un intervento da attore consumato. Ha deciso di galleggiare malgrado la formazione dei gruppi di Fini». Così Bruno Tabacci (Api) ha commentato a Rai News, il discorso del premier a Montecitorio, Per Tabacci il premier «ha dato del paese una idea che non corrisponde al vero. La gente sta male, le cose non vanno bene e invece di farci diventare più ricchi siamo tutti più poveri non solo in beni materiali ma anche in etica pubblica». Quanto all'invito nei confronti dei moderati, aggiunge: «Io sono più moderato di lui e lui non lo è. Sogna la “democrazia” russa e la vorrebbe trapiantare in Italia. Lui sogna una democrazia liberale diversa magari più simile a quella di Chavez». In merito ai due esponenti dell'Api che hanno lasciato il gruppo, Tabacci è netto: «I mercanteggiamenti sono il suo pane quotidiano e lui in questo è abilissimo. Mi dispiace per questi 2 colleghi».
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lunedì 27 settembre 2010

Terzo Polo e Governabilità

Di Marco Corrini



L’argomento è di forte attualità. La nascita di uno schieramento politico di centro denominato, forse impropriamente Terzo polo è ormai data per scontata e appare ai più come una scelta politica utilitaristica basata sulla convinzione che un simile schieramento risulti determinante per la composizione di un qualsiasi Governo e quindi rappresenti per chi la dirige una garanzia di potere indipendente dalle fortune o dai tracolli di destra e sinistra. Si tratta di una visione comprensibile ma fortemente condizionata dalla mercificazione della politica che ha caratterizzato la seconda repubblica fin dall’irrompere sulla scena di Berlusconi. D’altra parte se provassimo invece a pensare a questa svolta come ad una scelta di coscienza ci troveremmo di fronte ad un altro problema. In un sistema bipolare formare un Governo appare facile, Governa infatti chi esce vincitore dalle urne, chi riesce a prevalere nelle preferenze. In un sistema tripolare, invece, non si può trovare una maggioranza senza mettere d’accordo almeno 2 soggetti e se i soggetti in questione sono ideologicamente distanti tra loro la possibilità che si verifichi una situazione di ingovernabilità diventa concreta.

Per dirimere la questione si deve scindere la rappresentatività dalla governabilità. La politica è per sua natura espressione della rappresentatività dei cittadini. Oggi appare innegabile che in un bipolarismo che vede le due componenti principali (PDL e PD) allontanarsi sempre più ed aumentare la loro interdipendenza dalle ali estreme delle rispettive coalizioni (Lega e IDV), esiste una grandissima parte di Cittadini che non vi si riconoscono più e che di fatto, restando così le cose, non possono ne potranno mai essere rappresentati. In questo scenario, la spinta alla creazione di un Polo di Centro da parte di alcuni Parlamentari è una doverosa scelta di coscienza che viene fatta nel pieno rispetto dei Diritti Costituzionali che spettano a ciascun Cittadino.


Il Diritto al dissenso cui si è richiamato recentemente il Presidente Fini, è lo stesso diritto al quale si ichiamò in passato il Presidente Casini, è lo stesso Diritto al quale si sono riferiti i Parlamentari di API quando hanno lasciato il PD per fondare il nostro Movimento. Tutti costoro, Parlamentari della Repubblica, malgrado siano stati accusati a più riprese di utilitarismo o sciacallaggio politico, in realtà non hanno fatto altro che interpretare lo stato di disagio dei Cittadini Italiani compiendo al meglio il loro supremo dovere di rappresentarli nelle sedi istituzionali. L’eletto, non rappresenta in parlamento il Bersani o il Berlusconi di turno, rappresenta sempre chi lo ha votato (anche con una assurda legge elettorale come quella in vigore) e deve agire liberamente e secondo coscienza nel rispetto del mandato ricevuto.

Quando in uno Stato democratico, la rappresentatività viene sacrificata alla Governabilità, vuole dire che si è salito il primo gradino  che porta all’abbattimento delle garanzie democratiche e al totalitarismo.

Per questo, pur essendo consapevole che la nascita di un terzo polo potrebbe comportare problemi di governabilità al Paese la ritengo una strada obbligata nel rispetto di tutti coloro che come me non si riconoscono in questo strano bipolarismo dell’alternanza inconcludente. Ribadisco quindi con forza che non si tratta di una decisione utilitaristica ma di una scelta di coscienza a garanzia dei fondamenti democratici del nostro Paese. Più volte il Presidente Casini, pur nelle sue ripetute contraddizioni,  ha ribadito che il terzo polo se nascerà non avrà vocazione di stampella per chicchessia. Questo vuol dire che il terzo polo avrà certamente aspirazioni di Governo ma tali aspirazioni dovranno essere legittimate dal raggiungimento della maggioranza delle preferenze elettorali e non da giochini di palazzo. La nascita del terzo polo vedrà con ogni probabilità la fine della seconda repubblica e l’inizio di una nuova era democratica caratterizzata da un forte impulso per il rilancio del nostro Paese sia sul piano economico che sociale ed è una strada obbligata per porre rimedio a 20 anni di immobilismo politico dominato da culti personalistici di tipo totalitario che hanno portato l’Italia alle soglie del terzo mondo.

LA STAMPA : BIPOLARISMO MALATO

Gli ultimissimi sondaggi elettorali - sostanzialmente univoci nel loro responso - consolidano e confermano un dato difficilmente contestabile. La crisi di consenso dei partiti maggiori non solo continua, ma sembra subire addirittura una accelerazione. Le cifre, nella loro crudezza, parlano chiaro. Se si tornasse oggi alle urne, Pd e Pdl assieme assommerebbero a poco più del 55 per cento dei consensi. Appena due anni fa, alle elezioni politiche del 2008, erano riusciti a superare la soglia del 70 per cento (70,6). È evidente che un calo di quasi 15 punti percentuali in poco meno di 30 mesi, è difficilmente considerabile fisiologico: se non altro perché, a differenza di quel che si potrebbe normalmente supporre, della flessione dell’uno non si avvantaggia affatto l’altro.
Il dato è lì, e pare meritevole di analisi magari un po’ più sganciate dal contingente. Considerate le dimensioni della crisi, infatti, spiegazioni che risolvono il tutto richiamando l’effetto-delusione sugli elettori di pur evidenti conflitti personali (l’eterno duello D’Alema-Veltroni da una parte o la più recente frattura tra Berlusconi e Fini, dall’altra) cominciano a rivelarsi parziali e forse insufficienti. Del resto, il fatto che i sondaggi segnalino la contemporanea crescita di quasi tutti i partiti “minori” (dall’Idv alla Lega fino all’ipotetico “terzo polo”) aggiunge al quadro un dato impossibile da ignorare. E’ dunque già finita - e perché - la capacità di attrazione, sul modello europeo, di un sistema fondato su due grandi partiti che si confrontano e magari si alternano alla guida del Paese?
Mettiamo assieme alcuni fatti. I cosiddetti parlamentari teodem che lasciano il Pd, preferendo la più piccola Udc; Francesco Rutelli che abbandona il partito che ha co-fondato con Piero Fassino; Veltroni che lancia un suo movimento, anche se per il momento all’interno del Pd; Gianfranco Fini che abbandona la “casa madre” del Pdl; lo stesso Pdl che si frantuma in Sicilia (la regione del famoso 60 a 0...) e attraversa difficoltà evidenti tanto al Sud (eroso dagli uomini di Fini) quanto al Nord (accerchiato dai leghisti di Bossi)... Ce n’è forse a sufficienza per dire che i «partitoni»-calamita attraggono sempre meno, e che la forza che sprigionano pare trasformarsi sempre più da centripeta in centrifuga.
La questione, in fondo, sarebbe provare a capire se tra le due crisi esiste un rapporto diretto - cioè se l’una influenza l’altra, e perché - o se le difficoltà in cui si trovano Pdl e Pd hanno origini autonome e diverse. Fu abbastanza evidente - e del resto fu ammesso dallo stesso Berlusconi - il fatto che l’«invenzione» del Popolo della Libertà fu una conseguenza praticamente diretta e una risposta alla nascita del Partito democratico. Esiste lo stesso rapporto - oggi - tra la crisi dell’uno e le difficoltà dell’altro?
E’ fuori di dubbio che il bipolarismo sia considerato dai cittadini-elettori un dato ormai acquisito. Decine di sondaggi, però, informano che è un bipolarismo che piace - e che funziona - soprattutto a livello locale (e lo dimostra, a parte la stabilità delle giunte, l’alta popolarità di cui godono sindaci, governatori e - talvolta - perfino presidenti di Provincia). Assai più discussi, invece, sono gli effetti a Roma (ed i risultati) del cosiddetto bipolarismo all’italiana: un sistema che ha ormai trasformato il confronto politico in un perenne muro contro muro, in uno scontro continuo nel quale perfino alle parti «terze» (dal Quirinale agli organi di garanzia, fino alla Corte Costituzionale) è spesso chiesto di schierarsi dalla parte del vincitore in nome di una presunta ma proclamata «Costituzione materiale».
Difficile dire se Pd e Pdl stiano pagando appunto questo - e cioè un bipolarismo trasformato in una sorta di insopportabile camicia di forza - oppure se, cacciata dalla porta, stia rientrando dalla finestra la storica predisposizione italiana al particolarismo e alla frammentazione (sentimenti che avevano nel sistema proporzionale lo strumento per realizzarsi). Che sia una la causa oppure l’altra (o ancora una terza o una quarta...) sarebbe però opportuno cominciare a rifletterci. Molti, infatti, affermano che la situazione è ormai a livello di guardia, e che la Seconda Repubblica dovrebbe presto cedere il posto alla terza. Nessuno, però, o quasi nessuno, indica soluzioni e vie da seguire. Si litiga sul «porcellum» e sul sistema tedesco, ci si chiede se è meglio tornare al Mattarellum o provare il doppio turno alla francese. Ci si azzuffa e non si sceglie. Intanto la disaffezione verso la politica cresce, e l’astensionismo tocca punte mai raggiunte prima...
Federico Geremicca,  la stampa

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