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sabato 1 ottobre 2011
venerdì 30 settembre 2011
Interrogazione parlamentare a Presidenza del Consiglio
«Censimento Istat? Un`operazione che rischia di essere gestita come se fossimo nel secolo scorso e che potrebbe gravare sulle tasche dei cittadini. Il governo faccia delle verifiche e promuova una campagna di informazione capillare». Lo chiede Franco Bruno di Alleanza per l`Italia annunciando una interrogazione parlamentare alla Presidenza del Consiglio.
«In questi giorni gli italiani stanno ricevendo il questionario del quindicesimo censimento. Sono stati sufficientemente informati del fatto che, in caso di mancata compilazione del questionario, potrebbero essere soggetti, ai sensi della legge n.322/1989, ad una sanzione che va da un minimo di duecento euro ad una massimo di duemila?. Il questionario viene recapitato tramite posta ordinaria nella buca delle lettere. In un mondo in cui ci si sposta continuamente, i portieri negli stabili sono sempre meno, chi può garantire che giunga effettivamente a destinazione?». «E se venisse rubato o smarrito? Non si capisce poi come mai, dopo l`avvento della posta elettronica certificata, che doveva essere una svolta epocale contro la burocrazia e far risparmiare miliardi, il censimento venga ancora recapitato alla vecchia maniera, causando costi altissimi. Siamo di fronte ad una operazione che da una parte genera sprechi incomprensibili in questo momento in cui il Paese non ne avrebbe affatto bisogno e dall`altra, a causa di una campagna di informazione pressoché assente, rischia di gravare, come sempre, sulle tasche degli ignari cittadini», conclude.
«Censimento Istat? Un`operazione che rischia di essere gestita come se fossimo nel secolo scorso e che potrebbe gravare sulle tasche dei cittadini. Il governo faccia delle verifiche e promuova una campagna di informazione capillare». Lo chiede Franco Bruno di Alleanza per l`Italia annunciando una interrogazione parlamentare alla Presidenza del Consiglio.
«In questi giorni gli italiani stanno ricevendo il questionario del quindicesimo censimento. Sono stati sufficientemente informati del fatto che, in caso di mancata compilazione del questionario, potrebbero essere soggetti, ai sensi della legge n.322/1989, ad una sanzione che va da un minimo di duecento euro ad una massimo di duemila?. Il questionario viene recapitato tramite posta ordinaria nella buca delle lettere. In un mondo in cui ci si sposta continuamente, i portieri negli stabili sono sempre meno, chi può garantire che giunga effettivamente a destinazione?». «E se venisse rubato o smarrito? Non si capisce poi come mai, dopo l`avvento della posta elettronica certificata, che doveva essere una svolta epocale contro la burocrazia e far risparmiare miliardi, il censimento venga ancora recapitato alla vecchia maniera, causando costi altissimi. Siamo di fronte ad una operazione che da una parte genera sprechi incomprensibili in questo momento in cui il Paese non ne avrebbe affatto bisogno e dall`altra, a causa di una campagna di informazione pressoché assente, rischia di gravare, come sempre, sulle tasche degli ignari cittadini», conclude.
giovedì 29 settembre 2011
LETTERA APERTA DI Marco Corrini
Alla c.a. degli Onorevoli: Osvaldo Napoli,
Gianni Vernetti, Marco Calgaro, Bruno Tabacci, del Presidente Nichi Vendola e
del Sindaco di Firenze Matteo Renzi, che ho il piacere di conoscere per via
diretta o epistolare.
Egregi Onorevoli,
io sono un Cittadino qualunque che ha il privilegio di
conoscere personalmente molti di voi. Sono sempre stato molto equilibrato nei
miei giudizi ma oggi vivo il dramma dell’economia nazionale col sentimento
dell’uomo della strada: spaurito ed incapace di comprendere appieno ciò che sta
accadendo. Non voglio entrare nel merito dell’operato del Governo e neppure mi
propongo di muovere critiche alla classe politica. Apprendo dai mezzi di
informazione che gli organismi economici internazionali hanno giudicato adeguati
i provvedimenti presi dal Governo italiano per fronteggiare la crisi, ma basta
guardare l’andamento delle Borse per rendersi conto che la fiducia nel nostro
paese, espressa a livello di leadership internazionale, non trova riscontro nei
mercati che impietosamente continuano a condannarci. Pare chiaro a tutti che per
l’Italia, oltre a un problema congiunturale, ce ne sia uno, un ben più grave, di
credibilità istituzionale e politica.
Sia chiaro che quando parlo di credibilità non mi
riferisco unicamente all’operato del Governo e della maggioranza, ma a quello di
tutto il sistema Politico e Giudiziario italiano, opposizione compresa; un
sistema che da vent’anni è bloccato in una sorta di scellerata guerra intestina
senza quartiere della quale oggi il Paese paga le durissime
conseguenze.
Scrivo queste poche righe a Voi, esponenti di maggioranza
ed opposizione che ho il piacere di conoscere e che stimo come persone
responsabili e di grande spessore politico e professionale, per invitarvi ad
abbandonare gli stereotipi di questa assurda lotta di campo e proviate
a coinvolgere la parte “pensante” del Parlamento in un’opera che induca i
traballanti leader di questo nostro Paese a sacrificare il proprio ego
sull’altare del supremo interesse nazionale e cooperare attivamente per
recuperare la fiducia degli italiani, ancor prima di quella del mondo
finanziario.
Fatelo, prima che sia veramente troppo tardi.
Cordiali saluti
Marco Corrini
WIFI - FREE
IN ALCUNE ZONE DI ALESSANDRIA
Numerose
sono le iniziative a favore del wifi
gratis nelle città d’Italia,
ovvero il potersi collegare gratuitamente ad internet in determinate zone della
città, zone che possono essere, ad esempio, i poli universitari, ospedalieri,
le aree commerciali o semplicemente
i centri storici. Internet è ormai
il mezzo di comunicazione e informazione più diffuso ed efficace e la maggior
parte dei cittadini è provvisto di uno strumento per accedervi. Inutile dire
che l’accesso a internet gratuito nel nostro centro storico, o in determinate
parti di questo, sarebbe una grande agevolazione, non solo per chi usufruisce
della rete, ma anche per i negozianti, i commercianti che si renderebbero così
più visibili e offrirebbero un servizio in più al consumatore. Sarebbe
interessante considerare il wifi un servizio al cittadino (e al turista
occasionale), pari alla viabilità o al verde pubblico. Perché Alessandria deve
restare indietro anche nelle “cose facili”?
Via
Dossena 19, Alessandria
giannivignuolo@libero.it
mercoledì 28 settembre 2011
LANZILLOTTA PER L'ACQUA E' NECESSARIO FARE DELLE GARE
’intervista della portavoce di ApI al “Corriere del Mezzogiorno”: «La trasparenza si ha soltanto con una gara»
È stata la prima a portare in Borsa una società idrica, l’Acea di Roma, come assessore all’Economia del Comune della Capitale nella giunta Rutelli. E ha provato, da ministra del governo Prodi — con il disegno di legge sui servizi pubblici locali che portava il suo nome — a far capire che laddove sono necessari ingenti investimenti, come appunto nelle reti idriche, il pubblico deve far spazio anche ai privati. Per questo Linda Lanzillotta, deputato di Alleanza per l’Italia, non condivide la scelta di «pubblicizzazione» dell’acqua che dopo la Puglia di Nichi Vendola tocca anche la Napoli di Luigi De Magistris.
Onorevole, il Comune di Napoli con la trasformazione dell’Arin in Abc, società di diritto pubblico vuole portare trasparenza nella gestione del servizio idrico. Lei con il suo ddl che apriva ai privati, voleva porre fine alla gestione occulta degli enti locali. Come si spiega l’antitesi?«Si spiega con la diversa visione di efficienza e di reperimento di risorse. La situazione è semplice: se si vuole una rete idrica efficiente, occorrono investimenti di decine di miliardi di euro. Che il pubblico non può fare. Se anche si volesse limitare all’ordinario, dovrebbe aumentare le tariffe. Ma, invece, proprio al Sud, nei territori più disastrati per reti idriche e finanza pubblica, la Regione Puglia e il Comune di Napoli promettono società pubbliche, tariffe basse e utili da reinvestire nelle infrastrutture. I conti non tornano».
L’amministrazione de Magistris sottolinea che si tratta di un atto che va incontro all’esito del referendum.«Il referendum ha detto che il futuro delle società idriche deve essere deciso dai Comuni e non più dal decreto Ronchi. La scelta di De Magistris corrisponde al modello in house secondo le norme comunitarie. Ma il referendum lascia ai Comuni un’altra scelta, cioè l’opzione alternativa dell’Unione Europea:quella di ricorrere a una gara per affidare la gestione a chi si dimostri più efficiente, pubblico, privato o misto che sia».
Insomma, non c’è alcun obbligo di stop ai privati.«No. E la gara rappresenta la gestione competitiva: chi mi garantisce maggiori investimenti con tariffe più basse è più efficiente. Ed è quello che chiede la Comunità europea. L’affidamento diretto a una società pubblica, invece, è tutt’altro che trasparente, ci riporterà ai vecchi carrozzoni».
Anche se si promette acqua meno cara per tutti?«Ma questa è demagogia, si cerca a tutti i costi di giustificare quelle che in realtà sono motivazioni ideologiche. Lo sa come vanno a finire queste cose?».
Me lo spieghi.«Che tariffe basse, utili e investimenti non si conciliano. E allora il Comune dovrà tagliare altri servizi importanti per la comunità, per esempio gli asili nido, oppure dovrà aumentare le tasse. Non c’è nulla di più iniquo, perché alla fine si finanzieranno le piscine di chi le tasse le evade con i risparmi dei meno abbienti che invece le pagano. Altro che acqua gratis per tutti. E poi c’è un altro aspetto da non dimenticare».
Quale?«I finanziamenti erogati a una società pubblica vengono contabilizzati da Eurostat nel debito pubblico. Se invece vanno a una società mista come Acea gli investimenti no rientrano nel Patto di stabilità e quindi non rischiano di essere bloccati».
A proposito di Acea, a più di dieci anni dalla quotazione in Borsa, rifarebbe tutto? La società, nel settore, non è poi cresciuta tanto come ci si aspettava.«Questa forse è l’unica remora. Ma per il resto, quando cominciai ad occuparmene mezza commissione amministratrice dell’Acea era in carcere per tangenti; la quotazione in Borsa l’ha resa una vera azienda».
Con l’Acea ci è riuscita, ma il tentativo del ddl sui servizi pubblici locali è andato a vuoto. Soltanto colpa di Rifondazione comunista?«Guardi, fu un no trasversale. Quando si toccano interessi forti, non ci sono appartenenze politiche che tengano. E come ho detto, nelle reti idriche gli investimenti sono di miliardi di euro. Formalmente l’ostacolo del ddl furono i veti incrociati in parlamento, per motivazioni ideologiche. Che, poi, però, alla resa dei conti vengono accantonate, come è successo anche nell’ultimo referendum».
A cosa si riferisce?«Non mi sembra che in Puglia Vendola abbia tagliato le tariffe del 7% così come previsto da uno dei due quesiti».
Si è giustificato dicendo che in Puglia la remunerazione del 7% del capitale investito è un costo, rappresenta la copertura di un debito.«Appunto, è una giustificazione. In realtà non si è dato seguito al quesito referendario. E poi sull’Acquedotto Pugliese la situazione è ancora più intricata che a Napoli».
E infatti la legge regionale di ripubblicizzazione dell’Aqp è stata impugnata dal governo e dovrà decidere la Corte costituzionale.«Perché occorre dar conto anche a leggi nazionali che riguardano l’Acquedotto Pugliese».
Si riferisce alla concessione alla gestione del servizio idrico che fu attribuita fino al 2018 in forza della legge del ’99 che trasformò l’allora Ente autonomo nella spa (che ora si vuole cancellare) o alla legge di privatizzazione del 2001 voluta da Tremonti?«A entrambe. Ma in particolare a quest’ultima che prevedeva la vendita entro sei mesi in cambio del passaggio dell’Aqp dal Tesoro alla Puglia. Con i tempi che corrono, Tremonti potrebbe anche porre la questione e riprendersi l’Acquedotto Pugliese visto che quella legge non è stata ottemperata».
Intervista di Michelangelo Borrillo
È stata la prima a portare in Borsa una società idrica, l’Acea di Roma, come assessore all’Economia del Comune della Capitale nella giunta Rutelli. E ha provato, da ministra del governo Prodi — con il disegno di legge sui servizi pubblici locali che portava il suo nome — a far capire che laddove sono necessari ingenti investimenti, come appunto nelle reti idriche, il pubblico deve far spazio anche ai privati. Per questo Linda Lanzillotta, deputato di Alleanza per l’Italia, non condivide la scelta di «pubblicizzazione» dell’acqua che dopo la Puglia di Nichi Vendola tocca anche la Napoli di Luigi De Magistris.
Onorevole, il Comune di Napoli con la trasformazione dell’Arin in Abc, società di diritto pubblico vuole portare trasparenza nella gestione del servizio idrico. Lei con il suo ddl che apriva ai privati, voleva porre fine alla gestione occulta degli enti locali. Come si spiega l’antitesi?«Si spiega con la diversa visione di efficienza e di reperimento di risorse. La situazione è semplice: se si vuole una rete idrica efficiente, occorrono investimenti di decine di miliardi di euro. Che il pubblico non può fare. Se anche si volesse limitare all’ordinario, dovrebbe aumentare le tariffe. Ma, invece, proprio al Sud, nei territori più disastrati per reti idriche e finanza pubblica, la Regione Puglia e il Comune di Napoli promettono società pubbliche, tariffe basse e utili da reinvestire nelle infrastrutture. I conti non tornano».
L’amministrazione de Magistris sottolinea che si tratta di un atto che va incontro all’esito del referendum.«Il referendum ha detto che il futuro delle società idriche deve essere deciso dai Comuni e non più dal decreto Ronchi. La scelta di De Magistris corrisponde al modello in house secondo le norme comunitarie. Ma il referendum lascia ai Comuni un’altra scelta, cioè l’opzione alternativa dell’Unione Europea:quella di ricorrere a una gara per affidare la gestione a chi si dimostri più efficiente, pubblico, privato o misto che sia».
Insomma, non c’è alcun obbligo di stop ai privati.«No. E la gara rappresenta la gestione competitiva: chi mi garantisce maggiori investimenti con tariffe più basse è più efficiente. Ed è quello che chiede la Comunità europea. L’affidamento diretto a una società pubblica, invece, è tutt’altro che trasparente, ci riporterà ai vecchi carrozzoni».
Anche se si promette acqua meno cara per tutti?«Ma questa è demagogia, si cerca a tutti i costi di giustificare quelle che in realtà sono motivazioni ideologiche. Lo sa come vanno a finire queste cose?».
Me lo spieghi.«Che tariffe basse, utili e investimenti non si conciliano. E allora il Comune dovrà tagliare altri servizi importanti per la comunità, per esempio gli asili nido, oppure dovrà aumentare le tasse. Non c’è nulla di più iniquo, perché alla fine si finanzieranno le piscine di chi le tasse le evade con i risparmi dei meno abbienti che invece le pagano. Altro che acqua gratis per tutti. E poi c’è un altro aspetto da non dimenticare».
Quale?«I finanziamenti erogati a una società pubblica vengono contabilizzati da Eurostat nel debito pubblico. Se invece vanno a una società mista come Acea gli investimenti no rientrano nel Patto di stabilità e quindi non rischiano di essere bloccati».
A proposito di Acea, a più di dieci anni dalla quotazione in Borsa, rifarebbe tutto? La società, nel settore, non è poi cresciuta tanto come ci si aspettava.«Questa forse è l’unica remora. Ma per il resto, quando cominciai ad occuparmene mezza commissione amministratrice dell’Acea era in carcere per tangenti; la quotazione in Borsa l’ha resa una vera azienda».
Con l’Acea ci è riuscita, ma il tentativo del ddl sui servizi pubblici locali è andato a vuoto. Soltanto colpa di Rifondazione comunista?«Guardi, fu un no trasversale. Quando si toccano interessi forti, non ci sono appartenenze politiche che tengano. E come ho detto, nelle reti idriche gli investimenti sono di miliardi di euro. Formalmente l’ostacolo del ddl furono i veti incrociati in parlamento, per motivazioni ideologiche. Che, poi, però, alla resa dei conti vengono accantonate, come è successo anche nell’ultimo referendum».
A cosa si riferisce?«Non mi sembra che in Puglia Vendola abbia tagliato le tariffe del 7% così come previsto da uno dei due quesiti».
Si è giustificato dicendo che in Puglia la remunerazione del 7% del capitale investito è un costo, rappresenta la copertura di un debito.«Appunto, è una giustificazione. In realtà non si è dato seguito al quesito referendario. E poi sull’Acquedotto Pugliese la situazione è ancora più intricata che a Napoli».
E infatti la legge regionale di ripubblicizzazione dell’Aqp è stata impugnata dal governo e dovrà decidere la Corte costituzionale.«Perché occorre dar conto anche a leggi nazionali che riguardano l’Acquedotto Pugliese».
Si riferisce alla concessione alla gestione del servizio idrico che fu attribuita fino al 2018 in forza della legge del ’99 che trasformò l’allora Ente autonomo nella spa (che ora si vuole cancellare) o alla legge di privatizzazione del 2001 voluta da Tremonti?«A entrambe. Ma in particolare a quest’ultima che prevedeva la vendita entro sei mesi in cambio del passaggio dell’Aqp dal Tesoro alla Puglia. Con i tempi che corrono, Tremonti potrebbe anche porre la questione e riprendersi l’Acquedotto Pugliese visto che quella legge non è stata ottemperata».
Intervista di Michelangelo Borrillo
martedì 27 settembre 2011
_
L’affondo
di Bagnasco non deve far dimenticare altri passaggi del suo discorso: c’è
un “nuovo soggetto culturale e sociale”, nato dal basso, pronto a
impegnarsi
di ANDREA TORNIELLI
La prolusione pronunciata ieri
pomeriggio dal cardinale Angelo Bagnasco può a pieno titolo essere definita dirompente
sulla scena politica italiana per il richiamo alla questione morale –
o meglio immorale – che riguarda il presidente del Consiglio Berlusconi e
che da mesi tiene sotto scacco il Paese e ne mina la credibilità
internazionale.
Questo
rischia però di far passare in secondo piano altri importanti passaggi del
discorso del presidente della Conferenza episcopale italiana, che riguardano la
presenza dei cattolici sulla scena politica. Da tempo ormai Benedetto
XVI e i vescovi auspicano che sorga in Italia una nuova generazione di
cattolici in politica.
Negli
ultimi mesi qualcosa si è mosso, e non si è mosso per input dell’autorità
ecclesiastica, ma in seguito a incontri e movimenti dal basso, dalle
associazioni del mondo del lavoro d’ispirazione cristiana, che hanno
firmato un manifesto per la buona politica, e lavorano a un progetto
che potrebbe avere presto connotazione politica, non limitandosi
soltanto al livello pre-politico.
Bagnasco
ha detto: «Un nucleo più ristretto ma sempre significativo di credenti, sollecitati
dagli eventi e sensibilizzati nelle comunità cristiane, ha colto la rinnovata
perentorietà di rendere politicamente più operante la propria fede. Sono
così nati percorsi diversi, a livelli molteplici, per quanti intendono
concorrere alla vitalità e alla modernità della polis, percorsi che hanno dato
talora un senso anche di dispersione e scarsa incidenza. Tuttavia, non si può
non riconoscere che si è trattato di una sorta di incubazione che, se
non ha mancato di produrre qua e là dei primi risultati, sta determinando una
situazione nuova, rispetto alla quale un osservatore della tempra di Giuseppe
De Rita alcune settimane fa annotava: «Chi fa politica non si rende conto
che milioni di fedeli vivono una vicinanza religiosa che si fa sempre più
attenta ai “fatti della vita politica”, con comuni opinioni
socio-politiche, e con ambizioni di vita comunitaria di buona qualità» (Corriere
della sera, 6 agosto 2011)».
«Sta
lievitando infatti – ha continuato – una partecipazione che
si farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede
cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi! A dar coscienza ai
cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori
dell’umanizzazione: chi è l’uomo, qual è la sua struttura
costitutiva, il suo radicamento religioso, la via aurea dell’autentica
giustizia e della pace, del bene comune… Valori – lo diciamo
solo di passaggio – che si sta imparando a riconoscere e a proporre con
crescente coraggio, e che in realtà finiscono per far sentire i cattolici più
uniti di quanto taluno non vorrebbe credere».
«Non
sempre tutto è così lineare, è vero – ha osservato il presidente della
Cei -. Lentezze, chiusure, intimismi restano in continuo agguato, ma ci sembra
che una tensione si vada sviluppando grazie alle comunità cristiane, alle
molteplici aggregazioni ecclesiali o di ispirazione cristiana, e grazie anche
al lavoro realizzato dai nostri media, che sono diventati dei concreti
laboratori di idee e dei riferimenti ormai imprescindibili. Sembra rapidamente
stagliarsi all’orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e
sociale di interlocuzione con la politica, che – coniugando
strettamente l’etica sociale con l’etica della vita – sia
promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni».
È
un segno di grande attenzione per la novità che si sta producendo nelle file
dell’associazionismo cattolico: c’è all’orizzonte un «soggetto
culturale e sociale» in grado di interloquire con la politica. E
probabilmente anche in grado di fornire uomini per le istituzioni di domani.
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