lunedì 27 settembre 2010

LA STAMPA : BIPOLARISMO MALATO

Gli ultimissimi sondaggi elettorali - sostanzialmente univoci nel loro responso - consolidano e confermano un dato difficilmente contestabile. La crisi di consenso dei partiti maggiori non solo continua, ma sembra subire addirittura una accelerazione. Le cifre, nella loro crudezza, parlano chiaro. Se si tornasse oggi alle urne, Pd e Pdl assieme assommerebbero a poco più del 55 per cento dei consensi. Appena due anni fa, alle elezioni politiche del 2008, erano riusciti a superare la soglia del 70 per cento (70,6). È evidente che un calo di quasi 15 punti percentuali in poco meno di 30 mesi, è difficilmente considerabile fisiologico: se non altro perché, a differenza di quel che si potrebbe normalmente supporre, della flessione dell’uno non si avvantaggia affatto l’altro.
Il dato è lì, e pare meritevole di analisi magari un po’ più sganciate dal contingente. Considerate le dimensioni della crisi, infatti, spiegazioni che risolvono il tutto richiamando l’effetto-delusione sugli elettori di pur evidenti conflitti personali (l’eterno duello D’Alema-Veltroni da una parte o la più recente frattura tra Berlusconi e Fini, dall’altra) cominciano a rivelarsi parziali e forse insufficienti. Del resto, il fatto che i sondaggi segnalino la contemporanea crescita di quasi tutti i partiti “minori” (dall’Idv alla Lega fino all’ipotetico “terzo polo”) aggiunge al quadro un dato impossibile da ignorare. E’ dunque già finita - e perché - la capacità di attrazione, sul modello europeo, di un sistema fondato su due grandi partiti che si confrontano e magari si alternano alla guida del Paese?
Mettiamo assieme alcuni fatti. I cosiddetti parlamentari teodem che lasciano il Pd, preferendo la più piccola Udc; Francesco Rutelli che abbandona il partito che ha co-fondato con Piero Fassino; Veltroni che lancia un suo movimento, anche se per il momento all’interno del Pd; Gianfranco Fini che abbandona la “casa madre” del Pdl; lo stesso Pdl che si frantuma in Sicilia (la regione del famoso 60 a 0...) e attraversa difficoltà evidenti tanto al Sud (eroso dagli uomini di Fini) quanto al Nord (accerchiato dai leghisti di Bossi)... Ce n’è forse a sufficienza per dire che i «partitoni»-calamita attraggono sempre meno, e che la forza che sprigionano pare trasformarsi sempre più da centripeta in centrifuga.
La questione, in fondo, sarebbe provare a capire se tra le due crisi esiste un rapporto diretto - cioè se l’una influenza l’altra, e perché - o se le difficoltà in cui si trovano Pdl e Pd hanno origini autonome e diverse. Fu abbastanza evidente - e del resto fu ammesso dallo stesso Berlusconi - il fatto che l’«invenzione» del Popolo della Libertà fu una conseguenza praticamente diretta e una risposta alla nascita del Partito democratico. Esiste lo stesso rapporto - oggi - tra la crisi dell’uno e le difficoltà dell’altro?
E’ fuori di dubbio che il bipolarismo sia considerato dai cittadini-elettori un dato ormai acquisito. Decine di sondaggi, però, informano che è un bipolarismo che piace - e che funziona - soprattutto a livello locale (e lo dimostra, a parte la stabilità delle giunte, l’alta popolarità di cui godono sindaci, governatori e - talvolta - perfino presidenti di Provincia). Assai più discussi, invece, sono gli effetti a Roma (ed i risultati) del cosiddetto bipolarismo all’italiana: un sistema che ha ormai trasformato il confronto politico in un perenne muro contro muro, in uno scontro continuo nel quale perfino alle parti «terze» (dal Quirinale agli organi di garanzia, fino alla Corte Costituzionale) è spesso chiesto di schierarsi dalla parte del vincitore in nome di una presunta ma proclamata «Costituzione materiale».
Difficile dire se Pd e Pdl stiano pagando appunto questo - e cioè un bipolarismo trasformato in una sorta di insopportabile camicia di forza - oppure se, cacciata dalla porta, stia rientrando dalla finestra la storica predisposizione italiana al particolarismo e alla frammentazione (sentimenti che avevano nel sistema proporzionale lo strumento per realizzarsi). Che sia una la causa oppure l’altra (o ancora una terza o una quarta...) sarebbe però opportuno cominciare a rifletterci. Molti, infatti, affermano che la situazione è ormai a livello di guardia, e che la Seconda Repubblica dovrebbe presto cedere il posto alla terza. Nessuno, però, o quasi nessuno, indica soluzioni e vie da seguire. Si litiga sul «porcellum» e sul sistema tedesco, ci si chiede se è meglio tornare al Mattarellum o provare il doppio turno alla francese. Ci si azzuffa e non si sceglie. Intanto la disaffezione verso la politica cresce, e l’astensionismo tocca punte mai raggiunte prima...
Federico Geremicca,  la stampa

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