venerdì 25 febbraio 2011

ORDINARIA AMMINISTRAZIONE di Umberto Lucia

Ordinaria amministrazione Umberto Lucia Che titolo banale, “ordinaria amministrazione”. Siamo in un mondo in cui si vuole sempre introdurre innovazione, in cui si chiede sempre una crescita nella produttività, in cui si vuole sempre migliorare la propria competitività. Perché? Pensiamo a quello che capiterebbe al nostro organismo se incrementassimo sempre più i ritmi biologici, per esempio aumentassimo continuamente le pulsazioni cardiache o la crescita cellulare: nel primo caso usiamo il termine fibrillazione e nel secondo cancro. Comunque non si prospetterebbe nulla di buono né in uno né nell'altro caso. Allora, riflettiamo su quello che fa la natura: ordinaria amministrazione! La natura fa crescere i sistemi biologici sino a una situazione ottimale, poi li stabilizza e complementa le perdite con un reintegro costante o quando appare necessario. Cosa facciamo noi? In questa folle ricerca di innovazione abbiamo trascurato l'ordinaria amministrazione. Il risultato? Devastante! Abbiamo strade e marciapiedi con buche, trascurati, poco curati, abbiamo industrie in chiusura, abbiamo perso competitività sui mercati interni ed esterni. Dovremmo cercare di introdurre un senso naturale della politica e della gestione dei beni e dei servizi, un atteggiamento etico. Occorre sapere che alcuni servizi sono in perdita e sono in perdita per la struttura stessa della loro natura. Si chiamano servizi proprio perché rispondono alle esigenze dei cittadini, sia abbienti sia meno abbienti. Le fonti economiche per questi servizi derivano da una razionalità nella loro gestione, dalle tasse, da una oculata scelta delle attività di innovazione da non fare. E quando diciamo “razionalità nella gestione” intendiamo dire che non occorrono frotte di dirigenti per coordinare le attività, “tasse” significa “ognuno paga rispetto al suo guadagno” sapendo che contribuisce al mantenimento della società in cui ognuno di noi vive, infine per “una oculata scelta di attività innovative da non fare” intendiamo quelle innovazioni del tutto inutili per la vita della maggior parte delle persone e con costi eccessivi. Non è vero che l'innovazione porta sempre buoni risultati. Pensiamo al talidomide e ai danni da questo generati. Era innovativo, ma non accuratamente sperimentato e verificato. Allora, chiediamo alla politica di essere innovativa solo dopo aver verificato, solo dopo aver espletato l'ordinaria amministrazione. Chi ricorda l'Alessandria del Sindaco Basile ricorda un giardino fiorito, una città pulita, tranquilla, con persone che si incontravano. Quel momento storico, di una città in sviluppo all'interno di un mondo occidentale in sviluppo, aveva una gestione “umana” della città, fondata sul decoro della persona e dell'ambiente in cui essa vive, del rispetto della norma e dell'ambiente, dell'orgoglio di essere cittadino. Questo è ciò che dobbiamo chiedere ai politici: essere uomini dell'ordinaria amministrazione, dei marciapiedi puliti, curati, senza buche, della cura di ciò che serve alla comunità. Per primo, però, ovviamente dobbiamo essere noi ad aver cura del nostro ambiente. Non è possibile pretendere di arrivare con l'automobile ovunque, non è possibile pretendere di correre, non è possibile credere di avere solo diritti. Ciò che buttiamo in terra lo buttiamo noi, non i sindaci! Se i politici non dimostrano una attenzione, iniziamo noi a farlo. Insegniamo ai politici una etica e una solidarietà sociale. Nei condomini esiste la solitudine perché siamo conflittuali e ci disinteressiamo del vicino. Non era così venti anni fa. La solidarietà e la vicinanza sociale sono la base per costruire una società e per diventare cittadini. Riflettiamo quando incontriamo una persona, ricordiamoci di condividere un ideale, quello dell'edificazione sociale. E l'innovazione? Quella non può non esserci, ma solo quando il sistema è stabile. Solo con passo costante e lento si arriva sulla vetta di un monte: chi fa i passi troppo svelti si fermerà perché non avrà più fiato. Riprendiamo fiato! Un esempio. La nostra città invecchia. Noi non abbiamo strutture polifunzionali di accoglienza per anziani all'interno del centro storico, eppure ogni cittadino si reca in centro e quindi ogni cittadino sarebbe disposto a trasferirsi da anziano in centro. E gli anziani quasi autosufficienti escono e vivono la città, ma se li esiliamo nelle periferie non prenderanno mai un mezzo per andare in centro e il centro perde una risorsa! Risorsa perché il quasi o non autosufficiente ricorda a tutti quanto sia poco vera e limitata temporalmente la nostra forza. I giovani hanno bisogno di vedere come è la vita reale e non di credere al superominismo del denaro. Un anziano è una risorsa anche di posti di lavoro perché strutture polifunzionali richiedono persone che le gestiscano e ci lavorino. Ecco che l'innovazione si potrebbe realizzare con un piano formativo politica-scuola-università-strutture ospedaliere per formare e occupare personale specializzato alla cura degli anziani. E' un esempio e vicino a questi ce ne sarebbero molti altri, ma lascio a ognuno di noi la fantasia di proporli al nostro coordinatore provinciale perché se ne faccia carico con un impegno politico condiviso tra tutti i fronti, perché politica non è guerra, ma collaborazione per gestire servizi!

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