mercoledì 6 aprile 2011
QUALE SCUOLA PER INSEGNARE IL DIALOGO POLITICO ( di umberto lucia)
Umberto Lucia Quale scuola per insegnare il dialogo politico?
L’etimologia della parola politica è greca, da “πόλις” (polis, città), “πολιτικος” (politikós), e Aristotele ne fornì una definizione connessa con l’amministrazione della città intesa come il bene comune, di tutti, la determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano. La politica, nella sua accezione più generale, riguarda tutti noi, in quanto soggetti appartenenti alla nostra società. Non è, quindi, una attività peculiare solo di chi svolge l’attività di professionista della politica. Politica è occuparsi in qualsiasi modo di come viene gestito lo stato o sue strutture territoriali. L’attività politica può essere classificata in base all'aspetto della società e dei suoi rapporti in cui viene analizzata politics connessa con le dinamiche attuate dai vari partiti per riuscire a gestire il potere politico, policy intesa come le leggi le strutture normative attuate dal potere politico per gestire la cosa pubblica, polity connessa al consenso da parte della collettività nei confronti del potere politico e la coesione strutturale della società. Questi tre aspetti si intrecciano e si influenzano tra loro, attuando dinamiche complesse. In Grecia erano note tre forme di governo: la politeia la forma di governo in cui a esprimere il potere è la popolazione; l’aristocrazia (dal greco aristoi, i migliori) con la quale si intende il governo dei più adatti a governare in contrapposizione alla sua corruzione l’oligarchia (da oligoi, pochi) ovvero il governo di pochi, non necessariamente i migliori; la monarchia (da monos, solo) con la quale si indica il governo di un solo uomo, la cui degenerazione è tiranno con cui si indicava colui che si impossessava illegalmente del potere. Facendo un salto storico e considerando il 1500 si incontra l’interpretazione di politica introdotta da Machiavelli che ne Il principe introduce la distinzione tra etica civile e etica statuale. Successivamente anche Thomas Hobbes considerava la funzione politica derivante da un patto originario tra uomini liberi. John Locke, poi, formulò anche l’idea che il sovrano dovesse rispettare i diritti fondamentali come la proprietà privata. Fondamentale è nella storia del pensiero politico l’opera di Montesquieu, L'ésprit des lois, dove venne introdotta la distinzione dei poteri come principio base per evitare la tirannide. La politica, intesa in senso più elevato deve fondarsi sul confronto, sulla capacità argomentativa, sulla dialettica. L’origine della dialettica può essere ricondotta sino a Zenone, che la utilizzava come strumento di contrapposizione per giungere alla verità sulla base del principio di non contraddizione, ricorrendo all'uso dei paradossi. Un metodo simile era usato anche da Socrate che cerca di trovare le contraddizioni interne nelle tesi dell'interlocutore, scomponendone gli enunciati e raffrontandole con la conoscenza culturale. Con i sofisti la dialettica viene a coincidere con l’eristica, cioè con l’arte di affermare la propria tesi durante le discussioni, confutando le affermazioni dell’avversario, ma senza riferimento alla loro intrinseca verità o falsità. Con Platone, la dialettica diviene lo strumento per eccellenza della filosofia, essendo la via privilegiata per risalire dal molteplice all’unità dell’Idea, cioè con l’origine e il fine della conoscenza. Aristotele sviluppa socratico e platonico, distinguendo, però, la dialettica dall'analitica. L’analitica studia la deduzione che muove da premesse vere per giungere a conclusioni logicamente fondate, le dimostrazioni cui siamo abituati dalla matematica che studiamo a scuola. La dialettica aristotelica ha per oggetto i ragionamenti che si riferiscono ad opinioni probabili, rappresentando, perciò, una logica dell’apparenza, in quanto la conclusione, pur derivando razionalmente dalle premesse, non è necessaria, perché non sono necessarie le premesse in sé da cui deriva. Così, nel tempo la dialettica per Kant diviene la logica dell’apparenza, finalizzata a evidenziare l’aspetto illusorio dei giudizi trascendenti. La concezione kantiana della dialettica, intesa come esercizio critico di riconoscimento del proprio limite, venne ripresa dagli idealisti Fichte e Schelling, i quali le attribuirono la capacità non solo di riconoscere, ma anche di creare o di porsi anche un limite. Secondo Arthur Schopenhauer la logica ricerca la verità, ma la dialettica si interessa solo del discorso. L’unica dialettica veramente importante è dunque la dialettica eristica, ossia l'arte di ottenere ragione. Secondo Schopenhauer è più importante vincere il confronto verbale, piuttosto che dimostrare di aver ragione, perché spesso il pubblico potrebbe non essere interessato alla verità dell’argomento, ma solo allo scontro verbale, e quindi non avere la pazienza o la preparazione necessaria a seguire la dimostrazione. Questa riflessione sta diventando troppo lunga, quindi occorre terminarla. E' stato un veloce e superficiale viaggio nel significato della politica e nell'arte di argomentare nel confronto politico, cosa che attualmente pare spesso dimenticata dalla maggioranza dei politici che, durante i confronti televisivi, dimenticano l'arte della dialettica e scendono a duri confronti spesso non fondanti sulla ragione, ma sul tono della voce. Sarebbe più opportuno ricercare politici attenti alle necessità del popolo e capaci di argomentare in modo dialettico le proprie posizioni, con un confronto chiaro e non oltraggioso né dei propri avversari né dei propri concittadini. Concludo la riflessione con una frase proprio di Aristotele: la dignità non consiste nel possedere onori ma nella coscienza di meritarli.
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Sono d'accordo.
RispondiEliminaC'è un problema di fondo: ma "loro" la sanno?
E se non applicano queste semplici regole, tra l'altro derivanti dal buon senso, ne pagano le conseguenze?
Maurizio da San Rocco