Onorevoli Colleghi, la circostanza del dibattito sul bilancio della
Camera, l’ultimo atto di questa travagliata stagione politica prima
della pausa estiva, rappresenta un’occasione particolarmente propizia
per discutere dei costi della politica e delle istituzioni,
ma anche di ruolo del Parlamento e di rapporto con il corpo elettorale
ed il sistema mediatico. Il paradosso di questa stagione politica, che
pure sembra aver fondato le sue ragioni sull’effimera risorsa della
comunicazione piuttosto che sulla concreta fattualità dell’azione, è che
i suoi protagonisti, il ceto parlamentare o se si vuole, richiamando
l’evocazione più ricorrente in certa pubblicistica, la “casta” non sa
comunicare. Perché basta scorrere le cronache, politiche e non, di
queste settimane per imbattersi in un inquietante florilegio di
invettive, di contabilità fantasiose, di pregiudizi venati di
qualunquismo, sui costi della politica. Un gruppo di ricerca al Senato
ha selezionato più di 1500 articoli pubblicati sulla stampa nazionale
negli ultimi sei mesi per illustrare gli odiosi privilegi-ovviamente non
sempre fondati, ma questo non cambia-della casta. Un’onda di
indignazione,dunque, si abbatte sulla politica e suoi attori
interpretando e in parte anche sollecitando un sentimento di
antipolitica che attraversa ciclicamente la pubblica opinione come un
fiume carsico, e che straripa nei momenti difficili per le famiglie
italiane. In questo atteggiamento, in questa furia iconoclasta, che
riecheggia situazioni già vissute agli inizi degli anni ’90, quando si
chiudeva il ciclo storico dei grandi partiti del novecento, c’è un
grande pericolo:quello dell’indistinzione, della mancata indicazione
delle responsabilità personali, dello straripamento del giudizio dai
singoli alle Istituzioni. Del resto l’approccio stesso che viene
medializzato, investendo responsabilità “castali”, dunque “uti
collettivi”, legittima in qualche modo la fuga delle responsabilità “uti
singuli”, col paradosso della condanna senza appello delle assemblee
elettive. In particolare il Parlamento, da sempre nell’immaginario
sociale il “luogo” della politica per eccellenza, soffre questa
condizione malata che rischia di generare effetti devastanti
nell’equilibrio democratico del Paese. Peraltro la frattura prodotta
dalle leggi elettorali tra eletti ed elettori, ha concorso ancor più a
deteriorare il rapporto tra parlamentari e popolo, mettendo in crisi il
significato stesso della rappresentanza democratica. E’ difficile
difendere la dignità del Parlamento e la dignità personale dei tanti
parlamentari che onestamente esercitano il loro mandato, quando la
selezione della rappresentanza viene sottratta alla sanzione dell’unico
legittimo titolare della sovranità, il cittadino elettore. E dunque la
prima risposta che la politica deve dare con urgenza al Paese è quella
di una riforma elettorale che sia capace di riconiugare la
rappresentanza al consenso, chiudendo con la troppo lunga stagione della
cooptazione.Perché il Parlamento ha il dovere di onorare il suo ruolo,
centrale nell’ordinamento democratico dello Stato , senza cedere alla
furia iconoclasta oggi di moda un solo centimetro della sua dignità.
Vedete, colleghi, io ritengo che sia profondamente sbagliato pensare di
arginare quel vento che convenzionalmente abbiamo imparato a chiamare
“antipolitica”, assecondando con qualche gesto condiscendente le
obiezioni radicali che vengono portate alla politica: perché questo
vorrebbe dire che riconosciamo la giustezza di quelle critiche e la
nostra inadeguatezza rispetto al compito che la Costituzione ci assegna e
che speriamo con qualche piccolo accorgimento contabile o con
proclamazioni di pubbliche virtù, di farla franca solo perché
accarezziamo il ventre molle della pubblica opinione. L’onorabilità
delle Istituzioni, la dignità del Parlamento, non è un esercizio di
marketing: domando a me stesso se la generazione di Aldo Moro, di Enrico
Berlinguer, di Ugo La Malfa, di Malagodi, di Nenni, insomma la
generazione di politici a tutto tondo, non quelli prestati da qualche
altro mestiere, abbia mai avuto a subire un’onda popolare di ostilità
così dura e compatta, che accomuna tutti i media. Io ritengo proprio di
no. Ma perché? Perché quei politici, quei parlamentari erano autorevoli,
non solo per la sobrietà dei comportamenti personali, ma anche per la
qualità del prodotto politico che da essi promanava e per il rapporto
diretto e forte con il corpo elettorale che li eleggeva scegliendoli uno
per uno. Ecco allora che, al di là delle valutazioni contabili, al di
là delle necessarie economie e dei giusti sacrifici che anche il ceto
parlamentare deve compiere e che il collegio dei questori mi pare abbia
compiuto, senza scivolare in improvvidi demagogismi che hanno portato
qualche voce alla ricerca del quarto d’ora di celebrità caro alla
cultura pop a dire cose improbabili e incostituzionali sui trattamenti
economici e sui vitalizi, io credo che quest’Aula debba dire a chiare
lettere in questa solenne occasione come intende riprendersi il suo
ruolo costituzionale e come intenda tutelare la sua onorabilità. Di
istituzione democratica, non di casta. Perché io credo che se il corpo
elettorale potesse scegliere e revocare i propri rappresentanti, se il
lavoro parlamentare producesse effettivamente risultati per il bene
comune, se la politica e l’etica si lasciassero coniugare come è
necessario, io credo che la politica potrebbe ritrovare quella
necessaria autorevolezza e quel ruolo di pedagogia democratica-be
diverso dal marketing elettorale che usa oggi- che costruisce la
credibilità delle istituzioni. Qualche gesto lo possiamo compiere da
subito: perché non istituire una commissione d’inchiesta sulla giungla
retributiva, per indagare sulle retribuzioni, indennità e remunerazioni a
qualsiasi titolo di tutti i ruoli e le funzioni collegate al meccanismo
elettivo o di nomina pubblica, dalle autorità alla quantità di enti che
gravitano nella costellazione politica? Sarebbe una onesta operazione
di trasparenza che potrebbe generare solo effetti positivi in una
stagione in cui troppe zone d’ombra e troppe bugie ad uso mediatico
circolano per il paese.
Di: Pino Pisicchio
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