mercoledì 28 settembre 2011

LANZILLOTTA PER L'ACQUA E' NECESSARIO FARE DELLE GARE

’intervista della portavoce di ApI al “Corriere del Mezzogiorno”: «La trasparenza si ha soltanto con una gara»
È stata la prima a portare in Borsa una società idrica, l’Acea di Roma, come assessore all’Economia del Comune della Capitale nella giunta Rutelli. E ha provato, da ministra del governo Prodi — con il disegno di legge sui servizi pubblici locali che portava il suo nome — a far capire che laddove sono necessari ingenti investimenti, come appunto nelle reti idriche, il pubblico deve far spazio anche ai privati. Per questo Linda Lanzillotta, deputato di Alleanza per l’Italia, non condivide la scelta di «pubblicizzazione» dell’acqua che dopo la Puglia di Nichi Vendola tocca anche la Napoli di Luigi De Magistris.
Onorevole, il Comune di Napoli con la trasformazione dell’Arin in Abc, società di diritto pubblico vuole portare trasparenza nella gestione del servizio idrico. Lei con il suo ddl che apriva ai privati, voleva porre fine alla gestione occulta degli enti locali. Come si spiega l’antitesi?«Si spiega con la diversa visione di efficienza e di reperimento di risorse. La situazione è semplice: se si vuole una rete idrica efficiente, occorrono investimenti di decine di miliardi di euro. Che il pubblico non può fare. Se anche si volesse limitare all’ordinario, dovrebbe aumentare le tariffe. Ma, invece, proprio al Sud, nei territori più disastrati per reti idriche e finanza pubblica, la Regione Puglia e il Comune di Napoli promettono società pubbliche, tariffe basse e utili da reinvestire nelle infrastrutture. I conti non tornano».

L’amministrazione de Magistris sottolinea che si tratta di un atto che va incontro all’esito del referendum.«Il referendum ha detto che il futuro delle società idriche deve essere deciso dai Comuni e non più dal decreto Ronchi. La scelta di De Magistris corrisponde al modello in house secondo le norme comunitarie. Ma il referendum lascia ai Comuni un’altra scelta, cioè l’opzione alternativa dell’Unione Europea:quella di ricorrere a una gara per affidare la gestione a chi si dimostri più efficiente, pubblico, privato o misto che sia».
Insomma, non c’è alcun obbligo di stop ai privati.«No. E la gara rappresenta la gestione competitiva: chi mi garantisce maggiori investimenti con tariffe più basse è più efficiente. Ed è quello che chiede la Comunità europea. L’affidamento diretto a una società pubblica, invece, è tutt’altro che trasparente, ci riporterà ai vecchi carrozzoni».
Anche se si promette acqua meno cara per tutti?«Ma questa è demagogia, si cerca a tutti i costi di giustificare quelle che in realtà sono motivazioni ideologiche. Lo sa come vanno a finire queste cose?».
Me lo spieghi.«Che tariffe basse, utili e investimenti non si conciliano. E allora il Comune dovrà tagliare altri servizi importanti per la comunità, per esempio gli asili nido, oppure dovrà aumentare le tasse. Non c’è nulla di più iniquo, perché alla fine si finanzieranno le piscine di chi le tasse le evade con i risparmi dei meno abbienti che invece le pagano. Altro che acqua gratis per tutti. E poi c’è un altro aspetto da non dimenticare».
Quale?«I finanziamenti erogati a una società pubblica vengono contabilizzati da Eurostat nel debito pubblico. Se invece vanno a una società mista come Acea gli investimenti no rientrano nel Patto di stabilità e quindi non rischiano di essere bloccati».
A proposito di Acea, a più di dieci anni dalla quotazione in Borsa, rifarebbe tutto? La società, nel settore, non è poi cresciuta tanto come ci si aspettava.«Questa forse è l’unica remora. Ma per il resto, quando cominciai ad occuparmene mezza commissione amministratrice dell’Acea era in carcere per tangenti; la quotazione in Borsa l’ha resa una vera azienda».
Con l’Acea ci è riuscita, ma il tentativo del ddl sui servizi pubblici locali è andato a vuoto. Soltanto colpa di Rifondazione comunista?«Guardi, fu un no trasversale. Quando si toccano interessi forti, non ci sono appartenenze politiche che tengano. E come ho detto, nelle reti idriche gli investimenti sono di miliardi di euro. Formalmente l’ostacolo del ddl furono i veti incrociati in parlamento, per motivazioni ideologiche. Che, poi, però, alla resa dei conti vengono accantonate, come è successo anche nell’ultimo referendum».
A cosa si riferisce?«Non mi sembra che in Puglia Vendola abbia tagliato le tariffe del 7% così come previsto da uno dei due quesiti».
Si è giustificato dicendo che in Puglia la remunerazione del 7% del capitale investito è un costo, rappresenta la copertura di un debito.«Appunto, è una giustificazione. In realtà non si è dato seguito al quesito referendario. E poi sull’Acquedotto Pugliese la situazione è ancora più intricata che a Napoli».
E infatti la legge regionale di ripubblicizzazione dell’Aqp è stata impugnata dal governo e dovrà decidere la Corte costituzionale.«Perché occorre dar conto anche a leggi nazionali che riguardano l’Acquedotto Pugliese».

Si riferisce alla concessione alla gestione del servizio idrico che fu attribuita fino al 2018 in forza della legge del ’99 che trasformò l’allora Ente autonomo nella spa (che ora si vuole cancellare) o alla legge di privatizzazione del 2001 voluta da Tremonti?«A entrambe. Ma in particolare a quest’ultima che prevedeva la vendita entro sei mesi in cambio del passaggio dell’Aqp dal Tesoro alla Puglia. Con i tempi che corrono,  Tremonti potrebbe anche porre la questione e riprendersi l’Acquedotto Pugliese visto che quella legge non è stata ottemperata».
Intervista di Michelangelo Borrillo

Nessun commento:

Posta un commento

Archivio blog