Caro Francesco, sai che ti voglio bene ma nel tuo
scritto, accanto ad alcuni concetti sacrosanti e putroppo retorici, quasi
scontati, ci sono anche delle forti contraddizioni e qualche
inesattezza.
Inizio col dire che se la crisi è originata dal
debito e questo dalla cattiva amministrazione e dai privilegi, poichè coinvolge
tutte le economie più forti possiamo affermare che tali cattive amministrazioni
sono state proprie anche di quei paesi che abbiamo sempre preso come esempio,
Germania e USA compresi. In realtà sappiamo benissimo che non è così e
l'amministrazione tedesca (e per certi versi anche quella USA) hanno sempre
avuto tassi di moralità molto superiori alla nostra e quindi il conto non
torna. Questa crisi secondo me ha ragioni tecniche.
Innanzi tutto diciamo che non ha alcun senso
affidare la valutazione della solidità finanziaria di un Paese (e della
solvibilità del suo debito) ad uno strumento così volatile come la Borsa, uno
strumento che reagisce alle scorregge senza prendere minimamente in esame i
contenuti. Un esempio: il debito italiano è fortemente svalutato dalla Borsa
specie in rapporto a quello tedesco, americano o francese ma non si tiene
conto che se tutti gli italiani decidessero di investire il proprio denaro (per
ragioni patriottiche) in titoli di Stato nazionali potrebbero FACILMENTE
finanziare l'intero debito con risorse interne mentre USA, Germania e Francia
sarebbero obbligate a continuare a sperare nel buon cuore della
Cina.
Sulle cause che hanno condotto ad un denito
(italiano così abnorme, siamo daccordo: abbiamo vissuto per 30 anni al di sopra
delle nostre possibilità indebitando le generazioni future.
Sui rimedi invece mi trovo in totale disaccordo.
Certo è scontato che bisogna ridurre stipendi e privilegi delle aree politiche
riconducendone i trattamenti alla media europea ma supertassare i
redditi da lavoro alti (sulle pensioni sono daccordo) ha grandi
controindicazioni ed è moralmente ingiusto.
Bisogna infatti ricordare che i responsabili dei
trattamenti pensionistici anticipati degli anni '70/'80 non sono certo gli
imprenditori bensì i sindacati con la connivenza dei politici che ambivano a
conservarne i voti. C'è poi da dire che un trattamento fiscale penalizzante
rispetto agli altri paesi induce l'imprenditore a trasferirsi altrove con
conseguente ulteriore depressione del sistema economico.
La realtà è che il principale motivo della crisi
economica (italiana) è la mancanza di convenienza da parte dell'investitore ad
investire in attività imprenditoriali produttive a causa di una sistema fiscale
che è già penalizzante (la pressione fiscale in Italia è già oggi la terza
più alta del mondo). In sostanza per uscire dalla crisi dobbiamo creare
opportunità ed occupazione e per farlo dobbiamo fare in modo che chi investe
denaro possa guadagnare il giusto in ragione dei rischi di impresa che si
prende.
La soluzione quindi passa sicuramente per una
corposa cura dimagrante delle Istituzioni (Province e Senato), un'altrettanto
corposa riduzione delle retribuzioni di politici e quadri dirigenti
istituzionali ma occorre un drastico cambio di politica che consenta di
incentivare gli investimenti produttivi a scapito di quelli finanziari. Infatti,
se a parità di rischio i guadagni ottenuti da inpieghi finanziari sono tassati
il 20% mentre quelli da reddito di impresa sono tassati il 45% appare evidente
che l'investitore propenderà per i primi penalizzando la produzione che è
l'unica vera fonte di occupazione e ricchezza del paese. Ci vuole quindi una
corposa tassa sui guadagni da impiego finanziario ma non basta. Bisogna
anzitutto far pagare le tasse a quelle categorie che non chiedono altro che di
essere regolarizzate: mi riferisco alle prostitute la cui legalizzazione pùò
portare ingenti risorse alle casse dello Stato senza penalizzare il tessuto
produttivo e deprimere l'economia. Bisogna introdurre un meccanismo che porti a
forti pene di reclusione certa e non commutabile a chi evade il fisco,
almeno in attesa di arrivare ad una riforma fiscale nel segno dello sviluppo.
Bisogna rendere flessibile il mercato del lavoro lasciando libertà di
licenziamento ma reintroducendo il salario minimo cntrattuale in modo da
consentire all'imprenditore di tenere i dipendenti che vuole ma eliminando la
piaga del lavoro a tempo determinato sottopagato. Bisogna snellire l'apparato
statale licenziando i nullafacenti e dirottando il surplus lavotarivo in
attività redditizie per lo Stato (ad esempio i servizi turistici e connessi
all'ecologia), bisogna ristatalizzare le banche (o far valere le
Golden Share che ci sono ma vengono dimenticate) in modo da ricondurle
al loro antico ruolo di enti al servizio dell'imprenditoria, bisogna vendere il
patrimonio immobiliare dello Stato e tutte le partecipazioni industriali perchè
lo Stato non può essere immobiliarista ne tanto meno imprenditore, bisogna che
lo Stato si riappropri dei territori controllati dai potentati locali (il sud)
con un'azione militare di repulisti drastica che conduca al rilancio economico
di una parte importante di territorio oggi sottosviluppato e quindi grande
risorsa potenziale, bisogna che si torni all'idea di uno Stato Centrale solidale
e motivato alla ricostruzione e allo sviluppo accantonando, per ora, i sogni
federalisti.
Tutto il tuo bel discorso mi appare quindi
semplicistico, retorico e scontato. La questione è molto più complessa e va
affrontata con rigore, decisione e coraggio, quel rigore, decisione e coraggio
che quasta classe politica non sembra avere.
Un ultimo appunto riguarda la valutazione
dell'Euro. Il valore delle monete è regolato dalle borse e non dagli
Stati. Le Borse vivono di scorregge ma oggi, è indubbio, che l'economia
statunitense viva un periodo di difficltà ancora più grande di quella globale
europea per cui la valutazione delle monete ne risente. L'Euro è sicuramente
troppo forte e questo penalizza le esportazioni ma di contro favorisce le
importazioni (sui mercati internazionali si paga in dollari). Si potrà dire che
viene penalizzato chi produce in Europa ma la domanda è: CHI PRODUCE ANCORA IN
EUROPA ??? Il mercato europeo purtroppo è caratterizzato da una fortissima
componente di importazione, pari all'esportazione. Si importano prodotti di
largo consumo e si esporta tecnologia avanzata quindi l'Euro forte ci fa
pagare di meno i prodotti poveri e rende più costosi all'estero i nostri
prodotti avanzati che però, proprio perchè sono avanzati non sono penalizzati
più di tanto. Quindi a conti fatti l'Euro forte forse ci conviene.
Ciao
Marco Corrini
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