LA CRISI ECONOMICA (di Marco Corrini) Torino 30 Agosto 2011
Cari amici, prendo spunto dalla nota di Francesco
Giannatasio sulla crisi economica per esprimere un mio libero
pensiero.
Le considerazioni di Francesco sono assolutamente
condivisibile ma appaiono, secondo me, parziali, scontate e anche un po’
retoriche. Le ragioni della crisi sono assai più profonde e i rimedi non sono
così semplici da individuare.
Occorre anzitutto suddividere il tema in due scenari
distinti: quello globale e quello nazionale.
Lo scenario Globale
Affermare infatti (come fa Francesco) che la crisi
mondiale dei debiti sovrani è frutto di malversazioni e cattive amministrazioni,
è fondamentalmente sbagliato perché tale crisi tocca oggi anche Paesi che da
tempo sono esempio di moralità istituzionale.
In realtà la Crisi ha ragioni più tecniche e viene
in gran parte originata proprio da quel meccanismo umorale ed irrazionale che è
il sistema borsistico mondiale, un sistema che reagisce più alle sensazioni che
non ai fatti concreti.
Giova ricordare che la Borsa nasce come lo strumento
attraverso il quale le Aziende si finanziano. Dal punto di vista dell’azienda
quindi, una volta emessa l’azione ad un valore nominale di 100 ed incassato 100
dal sottoscrittore, l’operazione è terminata. Se poi il mercato (e la
speculazione) porta in breve tempo il valore di quell’azione a 1000 (forte
guadagno) oppure a 10 (forte perdita) all’azienda non interessa più e
soprattutto non ha ripercussioni sull’attività, al limite solo sull’immagine
(certo se le azioni salgono molto l’azienda, in caso di emissione di nuove
azioni, incasserà di più, mentre se le azioni si avvicinano allo 0 cercherà
comunque di difenderne il valore). La Borsa è il teatro nel quale le azioni
vengono scambiate secondo le Leggi di mercato, quindi con valutazioni che
dipendono dal meccanismo della domanda e dell’offerta, un meccanismo che è
influenzato esclusivamente da criteri umorali e dalla speculazione attuata dai
grandi capitalisti indipendentemente dal valore reale dell’impresa
trattata.
Se la
Borsa scende quindi c’è maggior difficoltà per le imprese ad
ottenere nuovi finanziamenti dal mercato tramite l’emissione di nuove azioni ma
altri contraccolpi per il mondo imprenditoriale produttivo non ce ne sono; in
realtà il crollo delle borse danneggia solo i piccoli investitori che si
spaventano e sono portati a svendere i loro pacchetti azionari.
Ci sono poi, indubbiamente, cali azionari che riflettono
un effettivo stato di crisi dell’azienda (vedi il terremoto che ha coinvolto le
banche) e che hanno un riflesso diretto sull’economia globale ma sono situazioni
nettamente distinte.
Se la valutazione dell’affidabilità e della solvibilità
di un Paese sovrano e del proprio debito viene affidata ad un’entità così
aleatoria come la
Borsa, è normale che ogni più piccola turbolenza si trasformi
in un pericolo per la stabilità economica dei Paese; se poi la turbolenza è
(come in questo periodo) un uragano allora lo spettro del fallimento globale si
concretizza con facilità anche se in realtà non ci sono condizioni concrete di
fallimento (o almeno non per tutti).
Tempo addietro i titoli di debito pubblico dei Paesi
erano collocati all’interno del Paese stesso: in sostanza erano i cittadini che
finanziavano direttamente il proprio Paese. La crescita ha portato alla
necessità di infrastrutture sempre più nuove e moderne con massicci investimenti
da parte degli Stati e conseguente aumento vertiginoso del debito che per poter
essere coperto ha dovuto assumere una dimensione globalizzata. Per questo
motivo, oggi, gran parte dei titoli dei debiti sovrani dei paesi occidentali
sono finanziati dalla Cina o nelle mani della speculazioni
internazionale.
Tremonti, recentemente, ha proprio voluto richiamare
l’attenzione sulla valutazione globale del debito dello Stato, una valutazione
che tenga conto del debito sovrano ma anche delle riserve private delle
famiglie.
Questo elemento è particolarmente importante per il
nostro Paese, un Paese che vede il proprio Debito Sovrano fortemente svalutato
dal sistema borsistico malgrado, tra tutte
le grandi economie occidentali, gli italiani sono i soli che, se lo
volessero, per spirito patriottico, potrebbero facilmente farsi totale carico
del proprio debito pubblico senza dover dipendere dal buon cuore della Cina, a
riprova dell’inaffidabilità del sistema borsistico come indice valutativo dello
stato di salute di un Paese.
Scenario nazionale
Detto della volatilità delle indicazioni borsistiche
resta una situazione economica nazionale ai limiti del disastro, dominata da un
caos istituzionale senza precedenti, all’insegna del tutti contro tutti o del
“Muoia Sansone con tutti i Filistei” salvo che qui Sansone ha già le valige
pronte e a morire saranno solo i Filistei.
Quando si fanno valutazioni macroeconomiche dobbiamo
renderci conto che non hanno mai attuazione immediata ma anzi, spesso, si
verificano nel lungo periodo. Allo stesso modo le soluzioni ai problemi
macroeconomici trovano attuazione in tempi molto lunghi per cui, quando si vuole
risolvere uno stato di crisi in una Nazione bisogna mettere in preventivo
tempistiche molto lunghe caratterizzate da lacrime, sangue, convinzione e grande
perseveranza.
Più di 10 anni fa affermavo in un mio articolo che il
grande problema dell’Italia in prospettiva, più ancora degli sperperi della
macchina pubblica, sarebbe stato il margine di profitto dell’imprenditoria. Già
allora appariva chiaro che all’imprenditore (soffocato da una burocrazia
asfissiante e da un livello di tassazione eccessivo) non conveniva fare impresa
in Italia. Oggi il problema si propone in tutta la sua drammaticità.
Ricordo che l’indice che maggiormente identifica la
salute di uno Stato è il rapporto tra il PIL e il Debito Pubblico. Oggi tale
rapporto è per noi estremamente sfavorevole perché il debito è progressivamente
aumentato mentre il PIL è (incredibilmente) stazionario. Il Pil è ‘indicatore
della ricchezza prodotta in un Paese ed è evidente che ciò che maggiormente
concorre a formarlo è il sistema imprenditoriale. Se non c’è convenienza a fare
impresa (legale) in un Paese, il PIL di quel Paese non potrà mai crescere e se
il PIL non cresce non ci saranno le risorse per abbattere il debito.
Il paradosso è che ciò che ancora ci tiene a galla è
proprio l’illegalità diffusa, quell’illegalità che da una parte consente agli
imprenditori, come componente sommersa del reddito, di raggiungere il profitto
desiderato e quindi restare a fare impresa sul territorio (mantenendo inalterato
il PIL) e dall’altra parte consente a chi evade il fisco di accumulare quelle
stesse risorse economiche che oggi ci permettono di poter affermare che gli
italiani sono in grado di coprire il proprio enorme debito pubblico.
Il Peccato Originale, quello che frena ogni tentativo
riformatore teso al rilancio economico è quindi la mancanza di convenienza ad
investire denaro in imprese (Legali) sul territorio italiano e fino a quando non
avremo risolto questo problema non potremo rilanciare l’economia, aumentare
l’occupazione e tornare a creare ricchezza risolvendo il dissesto dei conti
pubblici nella maniera più salutare: tramite l’aumento del PIL.
Tutte le Manovre e Manovrine dell’ultimo decennio sono
state all’insegna della riduzione della spesa, tale riduzione ha coinvolto solo
i servizi penalizzando ulteriormente il funzionamento dello Stato e obbligando
gli Enti Locali ad aumentare le imposizioni di loro spettanza per compensare la
riduzione dei trasferimenti dallo Stato Centrale. Si è voluto il Federalismo ma
si sono obbligati gli Enti Federali ad autofinanziarsi attingendo dalle tasche
dei contribuenti in misura sempre maggiore. Sono tutti provvedimenti tesi al
tamponamento dell’immediato; nessuno ha seriamente pensato al futuro, come dire”
Il futuro sarà di un altro Governo e quindi non ci riguarda”. Come si è, anche
solo ventilata l’idea di un contributo di solidarietà da parte delle classi più
abbienti c’è stata una sollevazione popolare e la norma è stata subito
cancellata; come dire: “Paga sempre Pantalone, in un modo o
nell’altro”.
Con una classe politica che ragiona così non c’è
assolutamente modo di uscire da questo pantano e quindi ogni ulteriore
riflessione è inutile e rischia di fare la fine dei suggerimenti del povero
Machiavelli, chiusi del cassetto del ‘De Medici di turno per 4 o 500
anni.
Malgrado sia assolutamente certo che questo mio pensiero
si disperderà inascoltato voglio comunque esprimerlo.
Le soluzioni
Anche se nell’immediato appare scontato che debbano
venire adottato provvedimenti di contenimento della spesa, la logica vorrebbe
che tali provvedimenti toccassero le componenti improduttive
dell’amministrazione dello Stato. Prima quindi di ridurre i trasferimenti che
incidono direttamente sull’efficienza della macchina amministrativa bisognerebbe
eliminare tutto ciò di cui si può fare a meno. Delle province si è già
lungamente parlata e pare che si stia attuando la loro totale abolizione ma ci
sono altre Istituzioni di cui si può fare a meno: Il Senato, ad esempio, essendo
un doppione della Camera rappresenta anche un’ostacolo alla rapida approvazione
delle Leggi (che spesso vengono palleggiate in eterno tra i 2 rami del
parlamento). La sua sostituzione con un’assemblea composta dai sindaci dei
capoluoghi di provincia e dai presidenti delle regioni, avente carattere solo
consultivo ed approvativo, farebbe ridurre i costi di qualche miliardo di euro e
sveltirebbe la macchina legislativa. Anche molti Ministeri paiono inutili e
comunque accorpabili tra loro con notevoli risparmi economici. Le strutture
istituzionali indispensabili paiono comunque sovradimensionate e dovrebbero
essere adeguatamente ristrutturate.
Da questa operazione emergerà un notevole numero di dipendenti pubblici
in esubero, tale forza lavoro dovrà essere impiegata in ruoli produttivi per la
collettività migliorando settori strategici come il turismo e
l’ecologia
Altrettanto scontata è la vendita del patrimonio
immobiliare dello Stato e delle partecipazioni perché lo Stato no deve essere ne
immobiliarista ne imprenditore.
Dobbiamo incentivare gli investimenti produttivi sul
territorio e per fare ciò dobbiamo scoraggiare gli impieghi finanziari a titolo
speculativo. Fino a quando il profitto finanziario verrà tassato al 20% mentre
quello d’impresa è al 45% ben pochi
investiranno il loro denaro in imprese produttive. Ferma restando quindi la
tassazione agevolata sui rendimenti delle obbligazioni (strumento di
finanziamento diretto delle Imprese), il reddito annuo complessivo derivante
dalle transazioni azionarie o da altri strumenti finanziari assimilati deve
essere portato al livello di qualsiasi altro reddito da impresa (44,5% medio
ritenuto alla fonte in sede di prese di beneficio). Qualcuno dirà che così si
deprime la borsa ma io dico che si
colpisce solo la speculazione (per limitare la quale non basta impedire le
vendite allo scoperto).
Dobbiamo fare emergere tutto il sommerso e questo si può
fare solo con una riforma fiscale che tassi esclusivamente il risparmio
consentendo di detrarre integralmente tutti gli acquisti. Una simile riforma
tuttavia richiede anni, tempo che oggettivamente non abbiamo. Per ovviare alla
mancanza di tempo si deve adottare un sistema rigido che prospetti per gli
evasori pizzicati la “Certezza della detenzione in galera per un tempo
commisurato all’entità della somma evasa” senza la possibilità di misure
alternative. Paradossalmente, il reato di evasione fiscale deve essere
parificato a quello di omicidio perché di omicidio ai danni della collettività
si tratta. Un simile deterrente farebbe emergere molto sommerso (si stima che il
sommerso sia pari al PIL nazionale) e farebbe crescere il PIL come d‘incanto
sistemando i conti pubblici con un colpo di bacchetta magica.
Dobbiamo regolarizzare le professioni anomale (maghi,
fattucchiere, prostitute) in modo che anch’essi rilascino ricevute fiscali e
paghino le tasse sui loro proventi.
Dobbiamo lasciar perdere il sogno (assurdo) federalista,
un idea che ora non ci possiamo permettere e che è un freno allo sviluppo equo
del nostro territorio. Abbiamo bisogno di uno Stato Centrale forte (oggi più che
mai) in grado di guidare lo sviluppo di quella parte di territorio, il sud, che
proprio per la sua arretratezza offre maggiori possibilità di crescita
economica. Per fare questo però è necessario che lo Stato si riappropri di quel
territorio sottraendolo ai potentati locali di tipo mafioso che ad oggi lo
dominano. Uno Stato Centrale forte capace di un’azione di forza per riaffermare,
magari anche militarmente, la sua autorità in luoghi fino ad ora dimenticati e
considerati ai margini delle Istituzioni.
Dobbiamo valorizzare le risorse del Paese, tutelare le
nostre imprese all’estero, creare
un fondo governativo che si occupi di pagare le spese per i brevetti
internazionali d’invenzione(costosissimi), frutto dell’ingegno degli italiani,
in cambio dell’impegno da parte del titolare del brevetto a realizzare la fase
produttiva nel nostro Paese.
Dobbiamo riflettere attentamente sulla liberalizzazione
imprenditoriale a 360° che si sta attuando perché le imprese debbono nascere
compatibilmente con le risorse territoriali. Non possiamo permetterci di
costruire nuovi mostri di acciaio come quello tristemente famoso di Taranto, un
monumento spettrale che ha tolto ogni possibilità di sviluppo turistico di quel
golfo.
Dobbiamo liberalizzare totalmente i rapporti di lavoro,
lasciando agli imprenditori assoluta libertà di licenziamento perché è giusto
che l’imprenditore scelga e valuti come desidera i propri collaboratori.
Dobbiamo però, di contro, ripristinare il salario minimo contrattuale perché è
immorale e socialmente penalizzante che ci siano lavoratori (e spesso giovani)
sottopagati con salari da fame.
Dobbiamo ripristinare il meccanismo delle licenze
commerciali perché chi investe e fa impresa deve essere tutelato e lo sviluppo
delle superfici commerciali deve essere compatibile con il territorio ed i suoi
abitanti (Un negozio di abbigliamento che lavora correttamente in un rione,
guadagna e paga tasse ma se nello stesso rione ne vengono aperti altri 2 danno
la fame tutti e tre e lo Stato non prende nulla).
Ora
basta !!! Non mi dilungo oltre anche se nel dettaglio ci sarebbero molte
altre cose da scrivere.
Sentendo i discorsi odierni dei politici ai vari TG mi
coglie un grande scoramento e sento che sto andando in depressione. Pensandoci
bene sento anche un lieve dolorino alle parti basse: ora provo ad andare al
gabinetto ………….. magari quando ne uscirò mi sarà tornato l’ottimismo.
Saluti
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